Kibale Forest, Uganda

L’Africa, le formiche, le persone...

il mio viaggio, la mia avventura

di Ilaria Toni

 

Quando Fabrizio Rigato mi parlò per la prima volta del corso lo vedevo come un sogno irraggiungibile.

Mi hanno dato l’opportunità di viverlo e spero che quello che ho scritto trasmetta almeno un po’ di quello che ho provato e che ho imparato da questa grande esperienza.

 

Il Viaggio di andata: Entebbe, il Lago Vittoria e poi... la Foresta

A dire la verità non ricordo molto del viaggio di andata, solo il buio, la sonnolenza, il rumore delle ruote delle valigie, il suono di voci diverse e di diverse lingue e tutte queste persone in viaggio verso il continente nero.

All’aeroporto di Entebbe (Uganda) alle 4 del mattino ho incontrato Eunice, una ragazza che avrebbe partecipato al corso insieme a me e ci siamo dirette insieme verso l’albergo.

Quando siamo arrivate a destinazione era notte e abbiamo aspettato un po’ nella hall che si facesse giorno, poi appena abbiamo visto un po’ di luce siamo uscite ed è stato magico trovarsi di punto in bianco sulle sponde del Lago Vittoria; Il lago di cui avevo sempre sentito parlare fin dalle lezioni di geografia delle superiori o di cui avevo letto sul National Geographic.

Quella mattina, Eunice ed io, siamo andate a fare un giro sulla spiaggia e lungo le strade di Entebbe. E’ stato allora che ho notato l’innumerevole quantità di motociclette presenti, che credo siano per gli uomini della città una specie di Status Symbol. Ho capito dove sono finite tutte le cafe racer anni ’70: In Uganda.

 

Le sponde del Lago Vittoria. C’erano dei ragazzini che facevano il bagno e sedie e tavolini, alcuni dei quali occupati da turisti (Foto: I.Toni).

 

Abbiamo passato la notte all’hotel e la mattina, dopo aver caricato le valigie su uno dei due pulmini che avremmo usato, siamo partiti alla volta della Kibale Forest situata nel Kibale Forest National Park.

Driver ants (Dorylus) sulla spiaggia del Lago Vittoria ad Entebbe, qui le abbiamo incontrate per la prima volta  (Foto: I.Toni).

 

Durante il tragitto, che è durato circa sei ore, non ho parlato molto e sono rimasta a fissare dal finestrino i paesaggi e le persone che si susseguivano  lungo la strada. Tante persone, moto e macchine, mercati con tantissima frutta, fumo e polvere, tanti bambini a piedi nudi lungo la strada che ti salutano. Non appena arrivati abbiamo messo le valigie nelle camere e ci siamo riuniti vicino all’edificio che ospita il laboratorio per sentire il discorso di presentazione di Brian Fisher e del direttore della Biological Station. Il primo discorso di benvenuto ha segnato l’inizio del corso, che seguendo una precisa scaletta, è durato ben 10 giorni, intensi, ma non stancanti. La cosa più bella che questi giorni mi hanno lasciato è stata una nuova carica energetica per vivere a pieno questa passione per gli insetti e la natura.

 

Mappa dell’Africa e dell’Uganda (Foto: http://www.worldatlas.com)

Le strade dell’Uganda, durante il tragitto da Entebbe (situata ad est del paese) alla Kibale Forest  (situata all’estremo ovest del paese) (Foto: I.Toni).

Prima di arrivare a destinazione abbiamo attraversato anche estese piantagioni di tè (che non avevo mai visto prima) e di tanto in tanto si vedevano alcuni braccianti che ne raccoglievano le foglie.

Il Kibale Forest National Park con un estensione totale di 766 Km2 è costituito soprattutto dalla foresta tropicale umida ma comprende anche altri tipi di habitat come praterie e zone umide. Le specie arboree maggiormente rappresentate sono: Picea excelsa e i generi Aningeria, Newtonia, Olea (Foto: I.Toni).

 

L’aspetto comunicativo: fotografia e social media per far avvicinare le persone al mondo delle formiche

Alex Wild è il mirmecologo-fotografo della spedizione. Durante tutto il corso ci ha assistito da tutti i punti di vista e ci ha seguito giorno per giorno fotografando i vari momenti e le varie persone. Il 10 Agosto (il 4° giorno) ha tenuto una lecture sull’argomento: fotografia e media per promuovere la biodiversità.

 

Alexander Wild è stato il nostro collegamento con il mondo esterno durante la permanenza nella Kibale Forest, sempre alla ricerca di un segnale per poter pubblicare gli aggiornamenti sul blog di Antweb (Foto: C. Moreau).

 

E’ stato molto interessante e dalle sue parole è emersa una grande passione sia per la fotografia sia per il mondo degli insetti, una passione contagiosa in grado di regalare nuova voglia di scoprire, di informarsi ma anche di comunicare i nostri pensieri, le nostre ricerche, le nostre anche piccole scoperte. Su quest’ultimo punto si è soffermato in particolare, dando enfasi al fatto che molte persone sono completamente estranee al mondo degli insetti e che è importante che chi invece ne è immerso e lo vive giorno per giorno comunichi con la gente, perchè questo è l’unico modo che abbiamo per fare capire agli altri quanto la vita degli insetti (e delle formiche in particolare) può essere magica e stimolante.

 

Alcuni siti interessanti

Myrmecos.net (il blog di Alex, che ho notato essere già tra i link di formicarium.it)

Alexanderwild.com (il sito di Alex, con le sue foto e i suoi commenti)

http://llama.evergreen.edu (il sito del progetto svolto in Centro America da Jack Longino sugli Artropodi della lettiera)

Alcuni siti per aprire un proprio blog

Wordpress.com

Sibblog.com

Gli Studenti

E’ stato molto bello e stimolante venire in contatto con così tante persone provenienti da varie parti del mondo, tutte così appassionate e piene di energia. Forse 10 giorni o poco più sono pochi per poter veramente stringere dei legami, ma penso che gli obiettivi e gli interessi comuni siano un legante fortissimo. Una delle cose che Brian ripeteva più spesso era l’importanza di parlare tra di noi e crearsi dei contatti, perchè uno degli obiettivi del corso era proprio quello di far entrare in contatto persone che lavorano nello stesso campo e che con ogni probabilità saranno colleghi in futuro.

Lucila (Argentina) Caswell (Sud Africa) ed Eunice (Singapore) sono state le persone con cui ho trascorso la maggior parte del tempo e quelle con cui ho parlato di più.

Eunice, in particolare, è stata la prima ragazza che ho conosciuto, perchè ci siamo incontrate all’aeroporto di Entebbe alle 4 del mattino, il giorno prima dell’inizio del corso. E’ stata la persona alla quale mi sono sentita più vicina e spero di rivederla un giorno. Era la più giovane partecipante al corso ed è una grande appassionata della natura e delle formiche, dotata di metodo, dedizione, determinazione e grande intelligenza. Mi disse che, una volta tornata a casa, avrebbe lavorato per realizzare la checklist delle formiche di Singapore e credo proprio che presto la vedremo pubblicata.

 

Le Formiche e come raccoglierle

Essendo un corso su base tassonomica le nostre attività principali sono state:

- raccogliere le formiche (facendo pratica delle diverse tecniche disponibili normalmente utilizzate);

- determinare gli esemplari (almeno a livello di genere) una volta tornati in laboratorio.

 

Durante tutta la spedizione Brian era alla ricerca di un genere in particolare, quello che è diventato per noi mitico, del quale sono stati raccolti prima dei maschi vivi attraverso raccolta diretta e poi delle operaie grazie ai Winkler sample. Le formiche in questione fanno parte della sottofamiglia Aenictogitoninae, genere Aenictogiton.

 

Aenictogiton (Kibale Forest, Uganda) da basi genetiche e morfologiche si tratta probabilmente di una formica scacciatrice (Foto di A.Wild) (http://myrmecos.net/).

Anne mentre utilizza il vaglio necessario per la prima fase del campionamento seguendo il metodo “Winkler sample”. Si preleva lettiera e gli strati più superficiali del terreno e li si setaccia (in corrispondenza del cerchio più basso del sacco c’è infatti una rete a maglie fini). In fondo al sacco marrone viene legato un sacchetto che conterrà tutto il materiale raccolto (Foto I.Toni).

Una volta alla biological station il materiale raccolto viene messo in piccoli sacchetti di rete a loro volta inseriti in “scafandri” di tela bianca. In fondo viene fissato un bicchiere di plastica con alcool. Nell’arco di alcuni giorni tutte le formiche (e non solo) presenti nel campione finiranno nel bicchiere. Questa è la tecnica che permette di catturare il maggior numero di specie (Foto: I.Toni).

Operaie di Pheidole mentre accudiscono degli emitteri. Si tratta di un genere di formiche che ho raccolto in grande quantita essendo semplice da raccogliere, tra i più diffusi e abbondanti (Foto: A.Wild) (http://myrmecos.net/).

Tra le mie raccolte ho anche un operaia di Phrynoponera della quale mi piace molto la morfologia del peziolo (Foto: A.Wild) (http://myrmecos.net/).

Un’ operaia del genere Crematogaster (uno dei miei preferiti) (Foto: A.Wild) (http://myrmecos.net/) e l’assistente dei professori B. Blaimer (Foto: I. Toni) mentre lavora per la sua tesi che sarà appunto incentrata sulle formiche di questo genere che sono arboricole e foraggiano sugli alberi.

Operaia di Tetraponera mocquerysi mentre foraggia (Foto: A.Wild) (http://myrmecos.net/). Le Pseudomyrmecinae sono molto veloci e l’unico modo con cui riuscivo a catturarle era usando direttamente le dita, quindi spesso mi sono beccata dolorose punture di difesa.

 

Un giro lungo la strada verso il villaggio... raccogliendo qua e là:

Meranoplus e Rhoptromyrmex

Anche io ho avuto la fortuna di fare una raccolta abbastanza interessante. Uno degli ultimi giorni siamo andati a fare un giro lungo la strada che collega la Makerere University Biological Station con il villaggio vicino. E’ stato molto divertente e lo ricordo come uno dei momenti più belli. Camminavamo raccontandoci i vari episodi divertenti e Caswell ci spiegava e ci indicava la specie delle varie formiche che incontravamo. Raccoglievamo qua e là alla ricerca di operaie di Meranoplus ed oltre a queste ultime ho raccolto quello che pensavo fossero dei Tetramorium, ma una volta in laboratorio Brian mi disse che erano invece operaie di Rhoptromyrmex, un genere opportunista che non possiede una propria colonia ma “si appoggia” a colonie di Tetramorium.

 

Caswell (Sud Africa) e Lucila (Argentina) sulla strada durante la nostra ricerca di Meranoplus (Foto: E.Soh).

 

Trap Jaw ants: Formiche dalle mandibole a trappola

Ho raccolto anche formiche dei generi Odontomachus, Microdaceton (le cosiddette “trap-jaw ants”) e Strumigenys. Devo dire che ne sono rimasta particolarmente affascinata, per il loro particolare metodo di catturare le prede ma anche per la loro morfologia e la scultura.

 

Operaie di Strumigenys lujae mentre accudiscono le larve nel nido (Foto A.Wild) (http://myrmecos.net/).

Microdaceton sp. (Foto A.Wild) (http://myrmecos.net/)

 

Andrew Suarez ci ha fatto una presentazione sulle trap-jaw ant, facendoci vedere anche un video veramente impressionante dove veniva messa in evidenza la grande forza che queste formiche possono sprigionare azionando le loro mandibole, un meccanismo che utilizzano per predare e per fuggire dal pericolo (Patek, S.N., Baio, J.E., Fisher, B.L., and Suarez, A.V. (2006) Multifunctionality and mechanical origins: ballistic jaw propulsion in trap-jaw ants. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 103, 12787-92).

 

The Sausage Ant: il maschio del genere Dorylus

 

Maschio di Dorylus (Driver ant). Detto formica salsiccia, è una formica così particolare che in passato era stata identificata come un imenottero strettamente imparentato con le vespe (Foto: A.Wild) (http://myrmecos.net/).

 

Jack Longino: istruzioni pratiche per la caccia alle formiche

 

Jack Longino è stato il professore che ha dato il via alle lezioni previste durante il corso, partendo quindi dalle basi: come trovare e raccogliere le formiche. Con questa affermazione: “Il censimento faunistico (inteso come lista delle specie presenti in un’area ben definita) riveste una grande importanza perché fornisce dati per studi ecologici e biogeografici; per esempio, in genere fornisce il dato basilare per studi di altro tipo, perciò è un servizio che viene offerto alla ricerca.”

 

Per raccogliere le formiche bisogna sapere innanzitutto dove trovarle, infatti esistono specie arboricole (che vivono soprattutto sugli alberi e sulla chioma), specie che si trovano soprattutto al suolo, a livello della lettiera oppure sotterranee (fino ai primi 15 cm di profondità), specie che creano la loro colonia all’interno dei rami (secchi o vivi) ed esistono anche altre tipologie come:  formiche scacciatrici, infestanti, simbionti di piante, parassite e i riproduttori alati che naturalmente possono essere raccolti in volo.

Il metodo del Winkler sample è probabilmente il più adatto per ottenere un alto numero di specie, ma in realtà il miglior metodo per poter analizzare a fondo un’area in termini di specie presenti è utilizzare il maggior numero di metodi diversi (controllare alberi recentemente caduti e le banchine, utilizzare sempre la lampada frontale, controllare sotto le rocce, nel legno morto, uscire di notte e utilizzare vari tipi di trappole).

 

Una tecnica per localizzare le colonie è quella di preparare un attrattivo (zucchero, olio, proteine), aspettare le operaie e seguirle poi fino alla colonia. E’ stato molto divertente quando Jack ci ha raccontato di come alcune volte bisogna aspettare e avere pazienza, perchè alcune operaie pare quasi che si accorgano di essere pedinate e prima di ritornare alla colonia sembrano vagare in direzioni casuali per un po’.

Si è parlato anche del problema delle specie introdotte (Pheidole megacephala, Linepithema humile, Anoplolepis gracilipes, Wasmannia auropunctata, Solenopsis invicta) e del perchè queste specie hanno un così grande successo (il fatto che siano specie generaliste, di piccole dimensioni ma presenti in grandi numeri, con alto potenziale riproduttivo, spesso presentano unicolonialità e poliginia, sono buone competitrici, più aggressive rispetto alle specie native e non hanno nemici naturali nei luoghi di introduzione).

A partire da questo problema conservazionistico abbiamo parlato di una condizione particolare che rende vulnerabili alcuni ecosistemi: la bassa resistenza biotica, cioè una bassa biodiversità (numero di specie presenti).

Infatti le comunità indisturbate, ricche di specie e perciò di interconnessioni, hanno meno invasori.

Per la prevenzione delle invasioni sono importantissimi i dati di intercettamento cioè i dati raccolti alle frontiere (prima che gli individui possano entrare in nuovi paesi).

 

Altro aspetto importantissimo: il quaderno di campo. Deve essere infatti compilato il più dettagliatamente possibile e in modo preciso e immediato dopo ogni singolo campione raccolto. Durante il corso ho aggiunto alle mie precedenti conoscenze il fatto di come sia più immediato e pratico utilizzare un “numero di collezione” che è associato alla singola raccolta e che viene riportato sul cartellino nella provetta e sul quaderno di campo, affiancato a tutti i dettagli.

 

Jack Longino (University of Utah) mentre fa alcune dimostrazioni su varie tecniche per raccogliere le formiche  (Foto: I.Toni).

 

Phil Ward e Leeanne Alonso

Due nomi che per me sono sempre stati due nomi stampati sui libri in biblioteca, nomi di personaggi mitici e indefinibili. E’ stato bello vederli dal vivo e rendersi conto che sono persone normali e simpatiche, che ballano alle feste e che sono allo stesso tempo il punto di riferimento per le ricerche sulle formiche.

 

Leeanne Alonso è una persona molto propositiva ed intelligente, perciò è una dei professori che più ho apprezzato. Si occupa soprattutto di sviluppare quel campo della mirmecologia che vede le formiche come bioindicatori (vi segnalo il libro credo più significativo da questo punto di vista: “Ants: Standard Methods for Measuring and Monitoring Biodiversity”).

E’ stato molto stimolante anche l’incontro che Leeanne e Christian Peeters (unaltro istruttore) hanno deciso di organizzare uno degli ultimi giorni , incontro aperto a tutti quelli che avessero voluto partecipare, per fare una specie di “brain storming” e interagendo, tra domande e proposte, potessimo pensare ed esporre nuove idee su come utilizzare le formiche come bioindicatori.

Uno dei punti più interessanti per me è stato rendersi conto di come le formiche possono essere associate alle piante, a causa della loro organizzazione in colonie, per cui possono essere considerati come organismi sessili. Perciò spesso le analisi che utilizzano le formiche come bioindicatori prendono spunto dai metodi utilizzati dai botanici.

 

Leeanne ha pure tenuto una lezione in cui si parlava di conservazione delle formiche, per cui ci ha illustrato le più serie minacce alle formiche (per esempio: intensificazione agricola, cambiamenti nel microclima, variazioni nella composizione delle comunità) e le tipologie di formiche che sono maggiormente minacciate, in quanto più vulnerabili a questi cambiamenti (i mutualisti/parassiti, le formiche di altitudini elevate, le formiche scacciatrici e quelle con le regine attere).

 

Leeanne mentre dimostra una tecnica di raccolta delle formiche terricole (nella lettiera e nello strato più superficiale del terreno) che si basa sull’ultilizzo di setaccio e vassoio (Foto: D. King & I. Toni).

 

Le formiche meritano attenzione dal punto di vista conservazionistico perchè in base alla loro biomassa e alla loro attività hanno grande impatto sull’ambiente e modificano perciò i servizi che l’ecosistema fornisce alle altre specie (uomo compreso).

Negli ambienti tropicali, le formiche compiono il lavoro che di solito negli ambienti temperati è riservato ai lombrichi, cioè il movimento del suolo, e hanno un ruolo importante anche nell’aerazione dello stesso, nel mixaggio dei nutrienti nella pulizia del materiale organico e nella predazione su specie dannose per i raccolti.

Il punto chiave da analizzare riguarda come i gruppi funzionali possono essere messi in relazione con i singoli servizi dell’ecosistema, per poi poter mettere in relazione la comunità delle formiche con lo stato dell’ecosistema stesso.

 

Phil Ward, professore al dipartimento di entomologia dell’università della California a Davis, è il punto di riferimento per la sistematica delle formiche e quindi è spettato naturalmente a lui introdurci alle basi della morfologia, sistematica e filogenesi del gruppo.

 

Il Prof. Phil Ward mentre spiega e dimostra una tecnica molto utilizzata che consiste nel battere i rami degli alberi, facendo in modo che tutto ciò che cade venga raccolto da questa specie di “ombrello” fatto da un telaio e da un telo bianco, ideale per poter vedere anche la più piccola formica (Foto: I.Toni)

 

Una cosa che mi ha colpito è che mentre ero ancora in Italia e mentre tutti discutevano via e-mail sul problema ebola e sul fatto di andare o non andare (infatti poco prima che partissimo si sono verificati due focolai di ebola nel distretto vicino a dove dovevamo recarci), ho ricevuto l’e-mail con in allegato i pdf che riguardavano la sua lezione. In poche parole ha chiarito la sua opinione sul fatto di fare o non fare il corso.

 

Morfologicamente parlando, le formiche non sono altro che vespe altamente modificate; quindi i termini morfologici per definire le parti anatomiche sono gli stessi utilizzati per gli imenotteri in genere.

Il contesto e le tempistiche concesse al professor Ward per parlare di ciò di cui si occupa non erano minimamente sufficienti neppure per un’introduzione generale, però è stato lo stesso molto interessante poichè ci ha spiegato molto bene in che cosa consiste il lavoro del tassonomo.

 

Walt: dentro i nidi...

Walter Tschinkel (Department of Biological Science Florida State University) ha tenuto una presentazione sull’architettura sotterranea dei nidi delle formiche. Partendo dal fatto che, seguendo il concetto del superorganismo, la selezione naturale a livello di colonia supera la selezione naturale che opera a livello di organismo, ci ha spiegato gli innumerevoli aspetti dell’importanza insita nella morfologia del nido. Il nido fa parte del fenotipo: è soggetto a selezione naturale, è specie-specifico ed è il risultato di schemi comportamentali.

 

Walt accanto ad uno dei suoi calchi di formicaio (Foto: http://illustrationrevealed.wordpress.com). In internet è possibile trovare informazioni e gli articoli pubblicati sull’attività di ricerca di Walter Tschinkel sull’architettura dei nidi di formiche.

 

Tutti i nidi sono variazioni, specie specifici, al tema ancestrale che li accomuna: il modello a camera e a corridoio.

Molti, anche se non tutti i nidi, sono più sviluppati nella parte superiore e la forma non cambia al crescere della colonia.

Alla domanda: cresce più velocemente il nido o la colonia? Si risponde sempre grazie a degli studi effettuati da Walt per cui si è reso conto di come colonie più grandi hanno una maggior densità.

Le colonie sono organizzate verticalmente secondo lo stadio vitale: mano a mano che le operaie invecchiano si spostano verso la zona più alta, più vicina alla superficie. E  questa organizzazione funziona perchè i singoli individui sanno bene dove si trovano.

 

... e dentro le formiche

Devo dire che questa è la parte di laboratorio che meno mi ha entusiasmato, forse perchè nelle scuole italiane non si usa dissezionare gli organismi per studiare e vedere coi propri occhi la struttura interna.

Dissezionare una femmina di Camponotus è stato per me tutto sommato interessante, anche se la mia totale inesperienza nel campo non mi ha permesso di fare un ottimo lavoro e sono riuscita a vedere chiaramente solo poche parti interne: i corpi grassi (fat bodies) che hanno funzione di depurare dalle tossine oltre alla normale funzione metabolica di conversione e immagazzinamento dei grassi e delle proteine e lo stomaco sociale.

 

Capsula Petri con fondo rivestito di cera utilizzata per dissezionare le formiche (Foto: E.Soh).

 

La vita alla Biological Station e il laboratorio

Alla Biological Station abbiamo avuto tutto quello di cui avevamo bisogno, ottimo cibo, acqua calda e ottima sistemazione per la notte. Tra l’altro su ogni letto avevamo le zanzariere, ma credo che non fossero strettamente necessarie. L’unica cosa che mi aveva fatto veramente paura erano le mango flies (Ditteri Calliforidi) che depongono le uova sui vestiti bagnati stesi al sole facendo sì che le larve appena schiuse penetrino sotto pelle una volta che i vestiti sono indossati. La soluzione più semplice è  stirare i vestiti prima di indossarli, perchè il calore uccide le uova. In realtà parlando con le persone della Stazione mi hanno detto che eravamo già troppo in quota per questi ditteri e che non c’era un vero pericolo. Ad ogni modo dopo aver lavato i miei vestiti li ho accuratamente stirati, ma non ho avuto il coraggio di mettermeli prima che fossero passati 4 giorni (il tempo di sviluppo delle uova).

 

Edificio sede della direzione della Makerere University Biological Station (Foto: E. Soh).

Il laboratorio era la nostra “base”: entravamo prestissimo alla mattina e poi spesso restavamo fino alla sera tardi, dopo la doccia con i capelli ancora bagnati, a montare le formiche sui cartellini a goccia (Foto: I.Toni).

 

Il laboratorio rappresentava la nostra “piazza” centrale, per cui tutta la vita alla Biological Station girava attorno a questo luogo; qui abbiamo passato la maggior parte del tempo e qui ho avuto modo di conoscere gli altri studenti e gli assistenti.  Alla fine quando abbiamo messo via gli steremicroscopi, spostato i tavoli e pulito tutto, ho pensato e mi sono resa conto che veramente tutto stava per finire.

Non saprei bene come concludere il mio racconto, so solo una cosa: che sono partita con una gran confusione in testa e sono tornata con le idee molto più chiare su quello che voglio fare e con la profonda volontà di farle al meglio.

Consiglio a tutti di cercare di fare esperienze come queste perchè aprono la mente e infondono grande energia.

Oltre ad aver approfondito le mie conoscenze, questa esperienza mi ha dato nuovi stimoli a continuare su questa strada spesso difficile, continuare a lavorare per la salvaguardia degli insetti e del loro habitat... ma soprattutto per le rispettabili, instancabili, determinate, intrepide (e perciò capaci di cose straordinarie)... formiche.

 

L’istruttrice C. Moreau mentre esegue il temuto: “drop-test”, facendo cadere a terra le scatole entomologiche con gli esemplari raccolti, per testare appunto se le formiche da noi preparate sui cartellini a goccia avrebbero superato intatte il viaggio verso San Francisco (Foto: B.Fisher).

Immagine dello stereomicroscopio e parte dell’attrezzatura utilizzata in laboratorio (Foto: E. Soh).

Farewell party (Foto: I. Toni).

 

 

Il corso si è tenuto presso:

Makerere University Biological Station

P. O. Box 409,

Fort Portal, Uganda.

Si trova a 20 Km daFort Portal, ben attrezzata e gestita da personale preparato e cordiale, ospita ogni anno numerosi ricercatori da tutto il mondo.

 

Grazie a Giovanni Bertazzoli, Fabrizio Rigato, Sönke Hardersen, Brian Fisher con tutto lo staff e (come al solito) a mia madre e mio padre che mi hanno dato l’opportunità di vivere anche questo sogno.

 

Ilaria Toni

Laurea in Biologia Ecologica, Università degli Studi di Parma.

Attualmente lavoro come OTD presso il Centro Nazionale Biodiversità Forestale “Bosco Fontana” Verona

(Corpo Forestale dello Stato), per maggiori informazioni sulle nostre ricerche:

http://www.corpoforestale.it/cnbfverona

Per qualsiasi cosa potete contattarmi all’indirizzo: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

 

Ultimo aggiornamento (Martedì 05 Marzo 2013 12:37)