Penang, Malesia
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Penang, Malesia
Dopo una lunga assenza, pubblico un resoconto di un soggiorno durato un mesetto che ho compiuto di recente a latitudini equatoriali.
Mi premeva condividere questa esperienza, non solo perché ovviamente io abbia cercato per quanto possibile di documentare quanta più fauna mirmecologica incontrassi, ma perché penso possa avere un contenuto didascalico e interessante (per non dire formativo) per chi frequenta questo forum. Ho preferito dare un taglio completo al racconto e non limitato alla parte solamente entomologica, perché penso un piccolo compendio culturale possa essere altrettanto importante, sopratutto per riferimento generale a chi volesse visitare posti simili in futuro (ne conosco parecchi qui). Dato che ci sto ancora lavorando a tempo perso da quando sono tornato e sto ordinando e classificando una marea di materiale (fotografico e non solo, qualcuno avrà già inteso..) ho preferito dividere in più parti il racconto per poter cominciare a pubblicare almeno ciò che è pronto, la parte più in argomento per il forum arriverà verso la fine perché mi richiede parecchio lavoro sul materiale fotografico e anche perché voglio strutturarlo con una certa calma e sicurezza.
Spero intanto questo sia un gradito regalo..
Nota: eccetto che dove diversamente specificato, in generale tutte le immagini sono opera del sottoscritto e proprietà dell'autore quindi prego di avvisare nel caso le si voglia utilizzare come fonte.
Mi premeva condividere questa esperienza, non solo perché ovviamente io abbia cercato per quanto possibile di documentare quanta più fauna mirmecologica incontrassi, ma perché penso possa avere un contenuto didascalico e interessante (per non dire formativo) per chi frequenta questo forum. Ho preferito dare un taglio completo al racconto e non limitato alla parte solamente entomologica, perché penso un piccolo compendio culturale possa essere altrettanto importante, sopratutto per riferimento generale a chi volesse visitare posti simili in futuro (ne conosco parecchi qui). Dato che ci sto ancora lavorando a tempo perso da quando sono tornato e sto ordinando e classificando una marea di materiale (fotografico e non solo, qualcuno avrà già inteso..) ho preferito dividere in più parti il racconto per poter cominciare a pubblicare almeno ciò che è pronto, la parte più in argomento per il forum arriverà verso la fine perché mi richiede parecchio lavoro sul materiale fotografico e anche perché voglio strutturarlo con una certa calma e sicurezza.
Spero intanto questo sia un gradito regalo..
Nota: eccetto che dove diversamente specificato, in generale tutte le immagini sono opera del sottoscritto e proprietà dell'autore quindi prego di avvisare nel caso le si voglia utilizzare come fonte.
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entoK - Messaggi: 2109
- Iscritto il: 26 set '11
- Località: Val Parma - Emilia
Penang, Malesia - Presentazione
Il vecchio medico mi tastò il polso pensando visibilmente ad altro. "Buono, buono per laggiù", borbottò, e poi con una certa animazione mi chiese se gli permettevo di misurarmi la testa. Piuttosto sorpreso dissi di sì ed egli tirò fuori una specie di calibro. Prese le mie misure, davanti, di dietro, da tutte le parti, annotandole accuratamente. Era un ometto mal rasato, con un logora palandrana e, ai piedi, un paio di pantofole. Mi fece l'effetto di un matto innocuo. "Nell'interesse della scienza, chiedo sempre il permesso di misurare il cranio di quelli che vanno laggiù", disse. "Anche quando tornano?", domandai. "Oh", rispose, "io non li vedo mai e poi i cambiamenti, sa, avvengono internamente."
Sorrise, come se avesse detto una spiritosaggine. "Così lei va laggiù. Ottima idea. Interessante, anche." Mi lanciò un'occhiata indagatrice e prese un altro appunto. "Nessun caso di pazzia in famiglia?", chiese in tono molto naturale. Mi seccai moltissimo. "Anche questa domanda è nell'interesse della scienza?" "Per la scienza", disse, senza rilevare la mia irritazione, "sarebbe di grande interesse osservare sul posto le modificazioni mentali degli individui, ma..." "Lei è uno specialista in malattie mentali?", lo interruppi. "Ogni medico lo dovrebbe essere, un po'", rispose quell'originale, senza scomporsi. "Ho una piccola teoria che voi signori che andate laggiù, dovreste aiutarmi a dimostrare. Questa è la mia parte nei profitti che il mio paese mieterà dal possesso di una colonia così magnifica. La nuda ricchezza la lascio agli altri. Scusi le mie domande, ma lei è il primo inglese che ho occasione di osservare..." Mi affrettai a garantirgli che non ero affatto tipico. "Se lo fossi", aggiunsi, "non parlerei così con lei." "Quel che dice è senz'altro profondo, ma probabilmente errato", disse ridendo. "Eviti ogni fonte di irritazione, più dell'esposizione al sole. Addio. Com'è che dite voi inglesi, eh? Goodbye. Allora, good-bye. Addio. Ai tropici bisogna soprattutto mantenere la calma..." Fece un cenno di ammonimento con l'indice..."Du calme, du calme. Adieu."
È con questa citazione di Joseph Conrad e il consiglio che <<qualsiasi cosa succeda, ai tropici convenga mantenere sempre la calma>>, che mi ha augurato buon viaggio uno di noi poco prima di partire per questo viaggio in Malesia. In realtà la mia è stata una trasferta per lavoro, non sono stato in vacanza, ma forse è anche meglio così: mi è stato più facile comprendere alcune cose di vita quotidiana locale che un turista non può per forza di cose percepire o riuscire a farsi comunicare.
Cartina geografica rappresentante la nazione federale della Malesia con evidenziato lo stato del Penang; fonte wikipedia.
Dunque la Malesia... comincio col definirla geograficamente, perché questa nazione è abbastanza varia ed è costituita da due parti: ad occidente la parte terminale della penisola di Malacca da cui è escluso il territorio sull'estremità della città-stato di Singapore (e qui non apro la bega della storia recente sulla questione perché non è banale per gli stessi malesi), ad oriente invece fa sempre parte di questa stato federato il Borneo nord-occidentale che è una grossa isola equatoriale, da cui va escluso il territorio appartenente al sultanato del Brunei. In generale tutta questa nazione è situata fra l'equatore e poco meno di una decina di gradi a nord di esso. Semplificando in breve dal punto di vista politico, la nazione è uno stato federale parlamentare multi-etnico con l'etnia principale malese di religione musulmana sancita (obbligata), ma tollerante nei confronti delle altre etnie (per quanto queste restino comunque con diritti più limitati). La lingua principale è il malese che attualmente viene scritto con l'alfabeto latino (se non ricordo male quello che mi hanno raccontato i locali, ha soppiantato da una generazione circa il precedente di derivazione araba), ma a seconda delle presenze etniche immigrate anche dialetti cinesi quale è l'hokkien o indiani come il tamil sono molto parlati, inoltre, nelle metropoli l'inglese è largamente utilizzato e compreso da quasi tutti, perché necessario soprattutto in ambiti lavorativi ed amministrativi. La nazione è una delle più industrializzate fra i paesi emergenti, per cui la società è abbastanza amministrata e regolamentata.
Mappa inglese del 1884 che rappresenta il possedimento coloniale di Georgetown e l'isola di Penang; fonte wikipedia.
Più specificamente io mi sono limitato a soggiornare un mese sull'isola di Penang (pronunciato pinan), nella città di Georgetown capoluogo dell'omonima provincia nord-occidentale malesiana al confine con la Tahilandia. Pulau Pinang (pronunciato pulou pinan) come viene scritta in lingua malese ha più o meno l'estensione della nostra Isola d'Elba, la città coloniale fu fondata come forte della Compagnia Britannica delle Indie Orientali nel 1786, venne così denominata dagli inglesi in onore di re Giorgio III (ben noto ad altri coloni, ma questa è una differente parte della Storia).
Vista della metà orientale dell'isola di Penang dalla cima più alta (Penang Hill, 830 m) in cui è chiara l'estensione della metropoli odierna: sulla sinistra il nucleo originario della Georgetown coloniale controlla lo stretto antistante ed è circondato alle spalle dai moderni grattacieli semi-celati dalla foschia mattutina; la città si sviluppa internamente verso le colline e verso sud fino a congiungersi al distretto industriale di Bayan Lepas, oltre le colline, sulla destra.
Al giorno d'oggi la parte abitata dell'isola si è ampliata moltissimo rispetto al piccolo nucleo commerciale originario: attualmente il centro urbano arriva ad occupare ormai praticamente tutta la metà orientale dell'isola e assume le vesti di una vera e propria metropoli moderna. Il suo enorme sviluppo è in gran parte dovuto alla nascita, verso sud, nel cosiddetto abitato confinante di Bayan Lepas, di un ampio distretto industriale, in cui moltissime multinazionali nel campo dell'elettronica principalmente hanno installato enormi stabilimenti produttivi.
Il centro coloniale originario di Georgetown sorge sulla punta del promontorio che ha oggi di fronte i cantieri navali della antistante città di Buttleworth, attorno alla città vecchia si è enormemente espansa la città nuova, che negli ultimi anni ha eretto numerosi grattacieli moderni soprattutto sul lungomare settentrionale, nessuno di questi però ha ancora superato i 232 m del trentenne KOMTAR che svetta al centro della foto ed è anche un importante snodo urbano.
Per citare un aneddoto che renda l'idea del ruolo in questo mondo sempre più globalizzato, io ricordo benissimo che i processori Pentium, sin dal primo che ho avuto negli anni '90, riportavano spesso la dicitura "assembled in malaysia" e in tal caso provenivano proprio da questa regione. Solo per nominare alcuni grandi nomi noti, si possono qui annoverare gli stabilimenti di: Intel, AMD, Western Digital, Renesas, ON-Semiconductor, Osram, Motorola, Bosh e così via. A seguito di questo sviluppo e delle ampie prospettive lavorative, la metropoli ha una densità abitativa alquanto elevata e conta una popolazione di circa 650'000 persone, perciò non mancano altissimi grattacieli, sfarzosi centri commerciali, strade ad elevato scorrimento di traffico e addirittura due ponti lunghissimi che la collegano alla terraferma.
La parte meridionale di Georgetown si sviluppa alternando un grande stadio, quartieri residenziali ricchi, quartieri bassi con numerose micro-attività e piccole casette, condomini moderni ed enormi, aree verdi (spesso cimiteri), grattacieli, il tutto collegato da strade ad elevato scorrimento e come visibile in primo piano il collegamento alla terraferma è assicurato dal Penang Bridge e dal secondo ponte ancora più lungo che si può intravedere più a sud.
Il primo di questi, inaugurato nel 1985 supera i 13 km ed è il 5° più lungo del sud-est asiatico, il secondo completato nel 2014 che raggiunge i 24 km vanta il primato di lunghezza nel sud-est asiatico e si innesta all'altezza del distretto industriale in maniera da smistare il traffico generato da un'ampia quota di lavoratori pendolari provenienti dalla vicina città di Buttleworth (anche questa ha preso il nome da un inglese, in questo caso un governatore della regione). Il breve tratto di mare che separa l'isola dalla costa occidentale della penisola di Malacca, denominato Selatan Strait, non è affatto profondo ed ha l'apparenza di un'acqua scura e lagunosa, a tratti talmente torbida da potersi dire fangosa, tanto che durante le basse maree è comune l'affioramento di secche.
Il litorale settentrionale di Georgetown (a destra) è una delle parti della città più moderne e in cui continuano ad essere eretti nuovi grattacieli, tanto che ormai l'urbanizzazione si è spinta fin quasi oltre le colline a raggiungere la vicina località turistica di Batu Feringghi: prima di questa sorge il quartiere di Tanjun Tokong (a sinistra), risultato di un progetto che ha creato nuovi spazi sottraendoli dal mare e che ha indirettamente causato l'insabbiamento del litorale a partire da questo promontorio e verso Georgetown. Sullo sfondo si intravedono le pianure coltivate estensivamente nel distretto del North Seberang Perai sulla penisola di Malacca e poco più a nord della città di Buttleworth.
Il mare è invece molto più limpido nelle spiagge situate nei villaggi originariamente di pescatori nel nord-ovest dell'isola (che pure ormai si stanno trasformando in località turistiche moderne con alti grattacieli e complessi alberghieri) e in generale nella parte occidentale quasi disabitata dell'isola (che è rimasta più vergine e nella cui punta nord si trova un parco nazionale che è sito di riproduzione delle tartarughe e ospita un lago meromittico).
Difficile scorcio orientato verso il lato occidentale dell'isola (alle spalle di Penang Hill) in cui si intuisce il promontorio dove a nord-ovest sorge il parco nazionale e il mare aperto fra penisola di Malacca e isola di Sumatra.
Chiudo questa breve e generale presentazione del luogo prima di entrare più nel vivo della mia esperienza, accennando che la stagionalità sull'isola è quasi impercettibile e si distingue un periodo più piovoso (da Agosto a Novembre) e uno leggermente più secco (da Dicembre a Marzo); la piovosità annuale in realtà non è molto diversa da quella di regioni piovose italiane come la Liguria, quello che è nettamente diverso rispetto al nostro clima è il fatto che l'escursione termica è praticamente assente e le temperature oscillano fra 24 °C e 31 °C per tutto l'anno senza variazioni mensili di sorta. La conseguenza di questo è che l'umidità dell'aria è sempre molto alta e costante a livelli che raramente noi sperimentiamo.
La metropoli si distende fino alle pendici delle colline che la sovrastano ad occidente dove sorge il santuario di Kek Lok Si (in primo piano a destra), sullo sfondo in fondo a destra vi è l'estremità meridionale dell'isola dove si può intravedere l'aeroporto in prossimità del distretto industriale che è celato dalla collina in prima piano, ma dietro la quale si può notare il secondo ponte snodarsi sullo sfondo e percorrere tutta la vista fino a sinistra dove si congiunge alla terra ferma al di là dello stretto.
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entoK - Messaggi: 2109
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Penang, Malesia - Clima e botanica urbana
Fra le cose che più sconcertano quando si arriva (dopo un viaggio di mezza giornata in cui si è rimasti relegati su di un aereo) vi è appunto il clima. Il punto non è tanto che quando si parte nel bel mezzo dell'autunno delle nostre parti si potrebbe rischiare lo sconcerto di trovarsi di fronte ad una stagione completamente diversa, no, il nodo della questione è che difficilmente avrete mai sperimentato prima una qualsiasi stagione temperata che vagamente rassomigli quella in cui vi troverete catapultati.
Sarebbe infatti quanto meno riduttivo dare la solita definizione di clima equatoriale caldo-umido, per cui proverò a darne una un po' più pragmatica. Arrivando per la prima volta, normalmente si proviene sempre da un locale climatizzato per cui il primo impatto risulta ancora ulteriormente amplificato. Nel mio caso forse pure il fatto di ritrovarsi improvvisamente con gli occhiali completamente appannati contribuì a darmi una più netta sensazione straniante, ma ciò non toglie che l'umidità che ho percepito appena sceso dal taxi climatizzato a palla sia stato qualcosa che difficilmente potevo dire di aver mai sperimentato prima e con estrema difficoltà credevo di potermi aspettare qualcosa del genere in un ambiente che concepivo completamente aperto!
Provo a descriverla con metafore che mi sono più familiari, ma la sensazione è qualcosa che può essere paragonata all'umidità che si sperimenta in una sauna e con una temperatura dell'ambiente che corrisponde all'incirca a quella che ci si aspetta in un ambiente domestico artificialmente riscaldato, cioè stando vicino ad un termosifone o ad una stufa (la temperatura media è 27 °C).
Nel mio caso queste impressioni sono state in parte rafforzate dall'essere arrivato con un meteo tutt'altro che ideale. La situazione già a Singapore in aeroporto si era presentata critica: un cielo persistentemente annebbiato e la stranezza di un sole che appariva come un astro rossastro tale e quale è usualmente al tramonto e che a fatica filtrava nonostante fosse già alto a metà mattina. Solo in seguito dalle gente del luogo mi fu additata la causa di tutto ciò col fatto che, nella dirimpettaia isola di Sumatra, gli indonesiani hanno spesso il problema degli incendi dolosi appiccati per distruggere la foresta.
Fatto sta che arrivato in albergo la situazione che mi si presentava era quella di una nebbia solo lontanamente parente di quella padana che conosco: questa che loro definiscono haze a differenza della mia autunnale (che col senno di poi riconosco più fredda che umida), era una coltre giallastra che alla lunga lasciava un irritazione acida in gola e che soprattutto non riuscivo a concepire come potesse nella sua morsa essere così calda ed estiva, quasi pericolosamente accogliente. Tutto ciò appariva inconcepibile a uno come me, invece, abituato a vedere la nebbia di per sé intimamente legata al freddo dell'inverno.
Fortunatamente questa sfortunata contingenza legata al periodo dell'anno si protrasse solo per la prima settimana, di cui per forza di cose non ho un ricordo bellissimo. Forse complice la nebbia soffocante e la completa immersione nel traffico caotico del tragitto per l'impianto industriale dove ero richiesto, in questa prima settimana notai quanto meno solo minimi e sparuti segni di vita al di fuori del brulichio di esseri umani.
Vero che in un ambiente fortemente antropizzato quale può essere un impianto industriale non ti aspetti di trovare chissà quale vita, ma essendo ai tropici mi aspettavo un'attività degli insetti elevata che invece assolutamente non notai: in quella settimana vidi qualche rara e isolata formica solo nelle piccole bordure sul perimetro dello stabilimento e un'attività generale sull'asfalto che dir sparuta è tanto! In generale ebbi quasi l'impressione che il meteo sfavorisse persino loro nell'uscire allo scoperto. La cosa in assoluto che considerai più strana, però, fu l'assenza più totale di ditteri: in ambiente urbano non ebbi mai modo di incontrare una mosca, anche una soltanto, e lo stesso vale per le zanzare la sera, che al contrario visto il caldo umido mi sarei aspettato onnipresenti.
L'unica spiegazione che mi son dato è che la causa fosse l'elevato inquinamento dovuto allo smog delle migliaia di auto che attraversano senza sosta le strade a 3-4 corsie per senso di marcia e probabilmente l'uso intensivo di insetticidi in città. Sin dai primi giorni mi aveva impressionato come, percorrendo il perimetro dell'albergo, si potesse talvolta incappare in un fumo che percorreva tutta la siepe fino ad un omino che, completamente imbragato e con il suo bombolone sulle spalle, aveva il compito di fumigarla per ben bene tutta. Mi torna in mente un altro aneddoto al riguardo, in uno degli ultimi giorni mi capitò perfino di vedere un palazzo intero (un mega-condominio di almeno una dozzina di piani, neanche troppo brutto per la verità e sicuramente molto più recente di tanti di quelli che vedo nelle nostre città) completamente avvolto in un tale fumo, che sulle prime pensai stessa andando a fuoco nei piani alti, mentre invece era sempre una delle loro solite ed ampie fumigazioni.
Operaia maggiore (maior) di un genere ben comune anche da noi, che protegge l'ingresso di un nido situato dentro al terreno di una piccola bordura in ambiente fortemente antropizzato. La specie in questo caso dovrebbe essere Camponotus paria, molto comune in ambiente urbano e caratterizzata dalla parvenza argentata, a causa di una fitta e microscopica peluria analoga a quella dei nostrani Myrmosericus.
Ponerinae è una sottofamiglia che ha molti esponenti negli ambienti tropicali, molte specie sono di grosse dimensioni e molto comuni a differenza di quanto accade da noi. L'operaia fotografata è purtroppo mossa a causa della sua estrema rapidità di movimento, ma mi è stato possibile riconoscerla come Odontoponera denticulata.
Comunque tornando agli sparuti incontri di carattere mirmecologico dei primi giorni, nelle bordure dello stabilimento notai quello che a tutti gli effetti mi pareva un Camponotus dall'aspetto sericeo e alcune grosse, solitarie e piuttosto veloci Ponerinae. In realtà quando il meteo migliorò, nelle settimane successive, in questo ambiente fortemente urbanizzato osservai anche un altro paio di specie.
Un cosiddetto "tributo ai puntini in movimento nei video" (purtroppo la compressione ulteriore di youtube peggiora molto la visibilità): queste formiche sono piccole e comunque poco visibili se le si vuole mostrare in un comportamento di gruppo, ma prestando particolare attenzione è possibile notare movimenti concentrici apparentemente casuali di più individui. Non è un caso che la prima cosa che possa sorgere in mente sia la definizione crazy ants, la specie in questo caso si è rivelata essere la famigerata Paratrechina longicornis infestante tropicale in ambienti urbanizzati ormai quasi a livello globale.
La prima più appariscente nei numeri (per fare un confronto più vicino a noi, socialità e numeri sviluppati quanto le Tapinoma e comportamenti simili) che talvolta vedevo creare lunghissime file, non belle dritte ma alquanto disordinate, di formichine nere veramente piccole: dimensioni circa 1-2 mm con le zampe lunghe abbastanza da farle apparire appena più grandi, ma che al contempo ne esacerbavano la corporatura esile e apparentemente fragile.
Altra specie infestante facilmente rinvenibile in ambiente urbano e considerata alla stregua della precedente, la specie in questo caso è Anoplolepis gracilipes genericamente denominata yellow crazy ants a causa della proliferazione alloctona analoga alla precedente.
La seconda invece una formichina grande circa il doppio della precedente, sempre altrettanto esile e fragile ma di un bel colore aranciato pallido, che pur sembrando avere operaie più distanziate e solitarie, comunque batteva ogni muretto al pari dell'altra per quanto mostrando numeri notevolmente inferiori.
Fuori dalla zona industriale la città comunque offre ambienti abbastanza appetibili per una certa biodiversità. Su questo piano una delle cose che nettamente sconvolge quando si percorrono i viali alberati è cosa sia in realtà il concetto di albero a queste latitudini. Si può letteralmente sentire impallidire il ricordo dei nostrani mirabolani (Prunus cerasifera), aceri (Acer campestre), tigli (Tilia cordata), bagolari (Celtis australis), come se si riducessero al rango quasi di cespugli; dopo aver visto i tropici si potrebbe addirittura osare dire che perfino un ippocastano (Aesculus hippocastanum), un platano (Platanus orientalis) o una grossa quercia (Quercus robur) possono sembrare degli alberi non così degni di nota, se confrontati agli esemplari maggiori presenti a tali latitudini equatoriali.
Pokok Sena (Pterocarpus indicus), è un albero autoctono molto piantumato lungo i viali della metropoli in ambiente urbano (in realtà è pianta considerata vulnerabile a causa della riduzione del suo ambiente naturale) può arrivare tranquillamente a 30 metri d'altezza e il suo legno non viene attaccato dalle termiti, notavo spesso i suoi frutti secchi per terra che sfruttano un sistema di dispersione aerea identico a quello dell'Olmo, con l'unica differenza che in questo caso il seme è di 2-3 cm di diametro e il disco alare di 4-6 cm.
L'albero tipico di un viale è un “qualcosa” che ha un tronco per lo meno di due metri di diametro e che da noi incuterebbe un rispetto monumentale, oltre a questo, e quasi altrettanto sconcertante, è il fatto che ciascun albero risulta essere ospite, come minimo, per almeno una mezza dozzina di altre specie vegetali che scelgono: se infilarsi fra le cavità della sua corteccia, arrampicarsi a stolone lungo i suoi rami, acquattarsi su in cima ad una biforcazione e sbocciare in un calice di foglie abbraccianti, spuntare ad una decina di metri dal suolo e poi ridiscendere con le radici a penzoloni verso il basso e così via senza soluzione di continuità, creando un ammasso complesso e inestricabile che credo costituirebbe, non solo il nirvana per il più mite dei botanici, ma certamente una visione estasiante per chiunque si appassioni ai sistemi biologici!
Le foglioline nastriformi che ricoprono questo tronco appartengono a una delle felci epifite (Pyrrosia sp.) che osservavo più di frequente sugli alberi nei viali, la pianta in sé sembrava molto semplice e costituita da un paio di foglioline semplici, prodotte da un singolo nodo radicante sviluppato su uno stolone, ma questo come una rete connetteva tutte le altre presenti e imbrigliava il tronco ospitante.
In questo particolare di una chioma, in realtà le foglie che appartengono realmente all'albero sono la minoranza e corrispondono a quelle più verdi chiare dei rametti al centro, poco più in basso e sulla destra si può notare ben isolato un esemplare di felce a foglia liscia (Asplenium sp.), invece sui rami molte delle foglie frastagliate sono di un altra specie di felce epifita (Drynaria cf. quercifolia) e se si nota ci sono anche quelle marroni e secche che ricoprono la parte inferiore dei rami (la differente forma fra le foglie basali secche e quelle principali è caratteristica del genere Drynaria).
Visione da vicino di una delle specie di felci epifite (Asplenium cf. australasicum) che frequentemente si sviluppano a partire dalle cavità presenti sui rami e che si sviluppano come una pianta vera e propria anche se caratterizzate, come molte epifite, da apparato radicale poco appariscente.
Varie piante (come quelle del genere Ficus) producono normalmente lunghe radici aeree grazie alla forte umidità ambientale presente comunemente a queste latitudini, ma anche alcune epifite talvolta producono radici cascanti.
La ragione di questa fierezza vegetale e di una certa “pressione irruente a crescere” che, perfino nel contesto più urbano della metropoli, si percepisce sempre e ben presente sullo sfondo, è legata al fatto che dove recentemente si è fatta spazio la città, c'è sempre stata la foresta pluviale mai soggiogata a vincoli di sorta. Anche la più piccola area dismessa, se non riempita di pietrisco od altra rottura di cantiere, ritorna con calma e costanza ad essere terra di conquistata delle specie vegetali, che in questa parte di mondo non conoscono pause vegetative, né danno alcun significato alla stagionalità che invece per noi dei climi temperati e agli antipodi è consueta ed ovvia.
Mi risulta difficile ancora adesso dare un'idea di quello che si percepisce direttamente là riguardo al vigore delle specie vegetali: è una cosa che lascia un po' spiazzati la prima volta che vi ci si trova a contatto, proprio per mancanza di riferimenti alle nostre latitudini temperate.
Provo quindi a fare qualche contrapposizione con ciò che si può aver a che fare qua da noi e che possa dare un'idea più concreta e tangibile ai più. In fondo qualcosa di tropicale c'è anche nelle case occidentali: le comuni piante da appartamento.
Qua e là in Malesia può capitare di avere una visione familiare, un deja vu, che alla familiarità aggiunge qualcosa di insolito: magari rammenti per un attimo la piantina di potos (Epipremnum aureum) che ti occupa a malapena una mensola nel tuo appartamento italiano, mentre passi davanti alla stessa specie che ai tropici assume le proporzioni di un edera gigante che abbraccia un albero intero e mostra foglie ampie una trentina di centimetri!
Altra pianta comunemente coltivata in appartamento per il fatto che non aumenta troppo di dimensioni è quel piccolo alberello che sviluppa una fitta chioma di foglie palmate e composite (Schefflera arboricola), normalmente tenute in vaso in casa crescono con una lentezza incredibile: di norma resta un alberello alto appena più di un metro, persino dopo svariati anni, e raramente ho visto esemplari ben coltivati superare l'altezza di un essere umano. Questo ovviamente non vale nel clima caldo e umido equatoriale, anche qua è un alberello ornamentale, ma coltivato nelle bordure raggiunge dimensioni proprio inaspettate, come farebbe un comune albero nei nostri parchi.
Un ultima ben nota pianta da appartamento che mi è capitato di vedere coltivata nei parchi è la comune Dieffenbachia amoena.
Non è un caso che a parte la prima citata queste non siano piante autoctone, perché almeno nella mia esperienza, da queste parti oltre alle piante da foresta tropicali spontanee della zona è comune vedere coltivate piante da clima tropicale ma provenienti da altre parti del mondo.
Mercato locale malesiano in cui viene messa in mostra frutta tropicale di produzione per lo più locale.
L'interesse non è limitato alle piante ornamentali piantate nei parchi ma assume una vesta pragmatica ed una certa importanza economica soprattutto nel caso delle piante da frutto e di sfruttamento agricolo. Non è raro perciò vedere crescere nei piccoli giardini domestici anche gli steli dritti e spogli eccetto in cima della Papaia. D'altronde la frutta è una delle risorse più tipiche di questo paese e sicuramente anche un palato non abituato alla cucina orientale può certamente gioire per le abbuffate di frutta tropicale matura che si possono fare per iniziare la giornata o in un qualsiasi altra pausa da spuntino. Provo a fare una accennata rassegna sicuramente non esaustiva ma che può rendere un poco l'idea della frutta che si può comunemente assaporare.
Svariate varietà di banana tipicamente reperibili in Malesia.
Partendo da frutta comune anche da noi, non si può non nominare la banana (Musa acuminata) dato che è specie autoctona del sudest-asiatico. Ho incontrato spesso queste palmette che crescono spontaneamente ai bordi della foresta o dove la copertura arborea si dirada un minimo, le varietà di frutto che si trovano nei mercati locali sono a frutto medio e meno arcuate e grandi di quelle vendute per il mercato occidentale ma il sapore non si discosta molto.
In primo piano sulla destra, frutti di pumilo (Citrus maxima) che rappresenta l'agrume dal frutto più grande. Subito dietro: ananasso, guava, dragon-fruit. Sulla sinistra comuni pere, mele e arance che generalmente sono importate dalla Cina o altri paesi dell'area pacifica.
Un altro frutto comune anche da noi e altrettanto anche qua è l'ananasso (Ananas comosus), bromeliacea domesticata da millenni in sudamerica, che nelle varietà asiatiche ho notato avere frutti un po' più piccoli più cilindrici che ovoidali, con ciuffo più ridotto e tassellatura più fitta e dalla polpa quasi bianca; il sapore è meno zuccherino di quelli che arrivano sulle nostre tavole a natale ma altrettanto dissetante.
Molto apprezzate dalla popolazione e comunemente coltivate anche qua, sono tutte le cucurbitacee, che definiscono genericamente watermelon e honeydew melon in inglese, che altro non sono che le comuni angurie (Citrullus lanatus) e i meloni (Cucumis melo): entrambi ugualmente familiari rispetto a quelli nostrani, accenno solo che delle prime si possono trovare spesso in varietà a polpa gialla (mai viste da noi e lascia un po' straniti in effetti vedere angurie identiche come dimensioni alle nostre ma gialle), mentre i secondi sono riconducibili tutte a varietà con polpa bianca (simili alle varietà che si usano più in Italia centromeridionale e che maturano in tardo autunno/inverno).
Altri frutti per noi comuni ma da loro meno consumati perché generalmente importati dalla Cina o climi più temperati dell'area pacifica sono arance, mele e pomi simili.
In primo piano un banchetto con una varietà di papaia a frutto relativamente piccolo (la prima foto del mercato mostrava frutti di dimensione molto maggiore), sullo sfondo arance e altri pomi di importazione.
Passando invece a frutta più tipicamente tropicale, anche se di origine sudamericana, la regina come popolarità è appunto la papaia (Carica papaya), frutto allungato dalla polpa soda (simile a un melone come consistenza) e dal sapore molto delicato e appena dolce, che qui si trova con numerose varietà dalle dimensioni anche piuttosto consistenti (maggiori di quelli che arrivano raramente sui nostri mercati).
Diverse varietà di mango con frutti verdi probabilmente più acerbi e altre gialle più mature, in primo piano mazzi di frutti longan.
Dall'altro lato, originario dell'India, come degno re, c'è secondo me uno dei frutti più buoni in assoluto, cioè il mango (Mangifera indica) che qui si può trovare in decine di varietà con frutti più o meno grandi, più o meno allungati o ricurvi e che vengono usati con polpa più o meno matura e più o meno colorata. Infatti se lo si mangia a maturazione completa la polpa è dolcissima e liquescente, generalmente lo si gusta molto bene se trasformato come succo dissetante in uno degli esercizi detti fruit bar che li forniscono ai bordi delle strade (qualsiasi succo di frutta che avrete gustato prima impallidirà al confronto), tuttavia lo si può utilizzare anche come green mango cioè in uno stadio più acerbo in cui la polpa è molto più soda e la nota acidula mischiata a quella leggermente zuccherina ad inizio maturazione, dà un interessante bilanciamento fra freschezza e sapore. Sotto questo aspetto, andrebbe aperta un'immensa parentesi sul fatto che nelle varie cucine asiatiche non ci sono certe demarcazioni più sentite da noi (anche se alcune eccezioni le potrei trovare perfino nella mia tradizionale cucina emiliana) sugli accoppiamenti di sapori, perciò non è un raro che il mango (o altra frutta) finisca come nota di accompagnamento di un piatto di carne, o addirittura come ingrediente principe della famosa insalata o perfino come fine pasto da gourmet se disidratato e affumicato. Altrettanto comune nei buffet alla cinese è il longan (Dimocarpus longan), frutto delle dimensioni di una noce con buccia secca e sottile, facile da sfilare e che protegge una polpa biancastra simile al litci (Litchi chinensis) sia come consistenza carnosa che sapore dolce e aromatico. Entrambe le piante sono originarie dell'asia tropicale.
Tornando un attimo al discorso dei fruit bar, tra i vari succhi che si possono apprezzare c'è quello del cocco (Cocos nucifera), certo ti svuotano un frutto intero e perciò c'è parecchio da bere, inoltre è un succo un po' grasso e sostanzioso, però è buon modo per ristorarsi dopo una lunga camminata ed il retrogusto è abbastanza rinfrescante, probabilmente perché svuotano frutti verdi e non completamente maturi (al riguardo va detto che in questi frutti vi è in genere uno strato sottilissimo di polpa, per cui ho il dubbio che potrebbe anche essere una varietà particolare per tale usi).
A partire dal primo piano i frutti del drago di colore rosso carico e dalla particolare forma, appena dietro i grossi frutti della guava, poco davanti agli ananassi.
Un altro frutto che amano consumare come succo è la guava (Psidium guajava), pianta di origine centro-americana che produce dei frutti tondeggianti con buccia rugosa e verdastra, la polpa piuttosto croccante si può mangiare tagliata in maniera simile a come noi consumeremmo una pera e per sapore vi rassomiglia molto alla lontana. Sempre di origine centro-americana vi è il variopinto frutto del drago (Hylocereus undatus), prodotto da una appartenente alle Cactaceae. La buccia del frutto gli dà la vaga somiglianza di un turgido carciofo rosso che se tagliato mostra una polpa bianca di consistenza un po' più morbida di un melone e contenente una miriade di piccoli semi come il kiwi (Actinidia chinensis), il sapore è poco marcato e leggermente dolce.
La polpa della giaca (jack-fruit) viene estratta da un sincarpo che raggiunge dimensioni ragguardevoli (uno dei più grandi al mondo): qui si può vedere al centro la parte commestibile arancione già riposta in buste per la vendita, mentre sulla destra restano le bucce svuotate a dare un'idea della dimensione complessiva del frutto.
Alcuni frutti originari dell'Asia tropicale, però, sono piuttosto differenti dalla consuete drupe e pomi, uno di questi è la giaca (Artocarpus heterophyllus), frutto di un albero appartenente alle Moraceae (parente cioè di gelso e fico, non di rovi e lamponi), che produce una grossa e ovoidale infruttescenza multipla, una specie di mora protetta esteriormente da una buccia coriacea esterna, al cui interno la parte commestibile è il sottile involucro che avvolge i grandi semi. Questa arillo carnoso ed elastico, spesso circa mezzo centimetro, diventa arancione a maturazione e assume sapore dolciastro e aroma vanigliato difficilmente paragonabile a frutti nostrani.
Altro frutto dalla forma particolare a creste stellate è la carambola (Averrhoa carambola), frutto di albero appartenente alle Oxalidaceae (parente dei erbe come i trifogli, che producono infatti capsule di forma rassomigliante per quanto molto più piccole), il frutto nei centri commerciali si trova denominato star-fruit perché la sezione ha appunto la forma di una stella a cinque punte, la buccia lucida molto sottile è verde acceso o appena brunastra, non si separa dalla polpa che è molto succosa. Il sapore acido con un retrogusto rassomigliante il salato è qualcosa che potrebbe quasi essere una metafora zen, semplice e complesso al contempo tale da rapire la mente perfino in dissertazioni filosofiche.
Ultimo frutto che cito per una sua celeberrima particolarità, ma che non ho potuto apprezzare dato che si raccoglie solo al termine della stagione più asciutta, è il durione (Durio zibethinus): una gigantesca noce irta di spine che contiene all'interno una polpa paglierina dall'ottimo sapore. Il frutto è tipico di queste regioni e molto apprezzato, tuttavia il frutto maturo ha un odore particolarmente penetrante e intenso, poco gradevole per chi non vi è abituato: per tale ragione è comune trovare in luoghi pubblici o negli ingressi degli alberghi, cartelli ben chiari in cui si prescrive fra i vari divieti anche quello di non introdurre durian in tali luoghi chiusi.
Sarebbe infatti quanto meno riduttivo dare la solita definizione di clima equatoriale caldo-umido, per cui proverò a darne una un po' più pragmatica. Arrivando per la prima volta, normalmente si proviene sempre da un locale climatizzato per cui il primo impatto risulta ancora ulteriormente amplificato. Nel mio caso forse pure il fatto di ritrovarsi improvvisamente con gli occhiali completamente appannati contribuì a darmi una più netta sensazione straniante, ma ciò non toglie che l'umidità che ho percepito appena sceso dal taxi climatizzato a palla sia stato qualcosa che difficilmente potevo dire di aver mai sperimentato prima e con estrema difficoltà credevo di potermi aspettare qualcosa del genere in un ambiente che concepivo completamente aperto!
Provo a descriverla con metafore che mi sono più familiari, ma la sensazione è qualcosa che può essere paragonata all'umidità che si sperimenta in una sauna e con una temperatura dell'ambiente che corrisponde all'incirca a quella che ci si aspetta in un ambiente domestico artificialmente riscaldato, cioè stando vicino ad un termosifone o ad una stufa (la temperatura media è 27 °C).
Nel mio caso queste impressioni sono state in parte rafforzate dall'essere arrivato con un meteo tutt'altro che ideale. La situazione già a Singapore in aeroporto si era presentata critica: un cielo persistentemente annebbiato e la stranezza di un sole che appariva come un astro rossastro tale e quale è usualmente al tramonto e che a fatica filtrava nonostante fosse già alto a metà mattina. Solo in seguito dalle gente del luogo mi fu additata la causa di tutto ciò col fatto che, nella dirimpettaia isola di Sumatra, gli indonesiani hanno spesso il problema degli incendi dolosi appiccati per distruggere la foresta.
Fatto sta che arrivato in albergo la situazione che mi si presentava era quella di una nebbia solo lontanamente parente di quella padana che conosco: questa che loro definiscono haze a differenza della mia autunnale (che col senno di poi riconosco più fredda che umida), era una coltre giallastra che alla lunga lasciava un irritazione acida in gola e che soprattutto non riuscivo a concepire come potesse nella sua morsa essere così calda ed estiva, quasi pericolosamente accogliente. Tutto ciò appariva inconcepibile a uno come me, invece, abituato a vedere la nebbia di per sé intimamente legata al freddo dell'inverno.
Fortunatamente questa sfortunata contingenza legata al periodo dell'anno si protrasse solo per la prima settimana, di cui per forza di cose non ho un ricordo bellissimo. Forse complice la nebbia soffocante e la completa immersione nel traffico caotico del tragitto per l'impianto industriale dove ero richiesto, in questa prima settimana notai quanto meno solo minimi e sparuti segni di vita al di fuori del brulichio di esseri umani.
Vero che in un ambiente fortemente antropizzato quale può essere un impianto industriale non ti aspetti di trovare chissà quale vita, ma essendo ai tropici mi aspettavo un'attività degli insetti elevata che invece assolutamente non notai: in quella settimana vidi qualche rara e isolata formica solo nelle piccole bordure sul perimetro dello stabilimento e un'attività generale sull'asfalto che dir sparuta è tanto! In generale ebbi quasi l'impressione che il meteo sfavorisse persino loro nell'uscire allo scoperto. La cosa in assoluto che considerai più strana, però, fu l'assenza più totale di ditteri: in ambiente urbano non ebbi mai modo di incontrare una mosca, anche una soltanto, e lo stesso vale per le zanzare la sera, che al contrario visto il caldo umido mi sarei aspettato onnipresenti.
L'unica spiegazione che mi son dato è che la causa fosse l'elevato inquinamento dovuto allo smog delle migliaia di auto che attraversano senza sosta le strade a 3-4 corsie per senso di marcia e probabilmente l'uso intensivo di insetticidi in città. Sin dai primi giorni mi aveva impressionato come, percorrendo il perimetro dell'albergo, si potesse talvolta incappare in un fumo che percorreva tutta la siepe fino ad un omino che, completamente imbragato e con il suo bombolone sulle spalle, aveva il compito di fumigarla per ben bene tutta. Mi torna in mente un altro aneddoto al riguardo, in uno degli ultimi giorni mi capitò perfino di vedere un palazzo intero (un mega-condominio di almeno una dozzina di piani, neanche troppo brutto per la verità e sicuramente molto più recente di tanti di quelli che vedo nelle nostre città) completamente avvolto in un tale fumo, che sulle prime pensai stessa andando a fuoco nei piani alti, mentre invece era sempre una delle loro solite ed ampie fumigazioni.
Operaia maggiore (maior) di un genere ben comune anche da noi, che protegge l'ingresso di un nido situato dentro al terreno di una piccola bordura in ambiente fortemente antropizzato. La specie in questo caso dovrebbe essere Camponotus paria, molto comune in ambiente urbano e caratterizzata dalla parvenza argentata, a causa di una fitta e microscopica peluria analoga a quella dei nostrani Myrmosericus.
Ponerinae è una sottofamiglia che ha molti esponenti negli ambienti tropicali, molte specie sono di grosse dimensioni e molto comuni a differenza di quanto accade da noi. L'operaia fotografata è purtroppo mossa a causa della sua estrema rapidità di movimento, ma mi è stato possibile riconoscerla come Odontoponera denticulata.
Comunque tornando agli sparuti incontri di carattere mirmecologico dei primi giorni, nelle bordure dello stabilimento notai quello che a tutti gli effetti mi pareva un Camponotus dall'aspetto sericeo e alcune grosse, solitarie e piuttosto veloci Ponerinae. In realtà quando il meteo migliorò, nelle settimane successive, in questo ambiente fortemente urbanizzato osservai anche un altro paio di specie.
Un cosiddetto "tributo ai puntini in movimento nei video" (purtroppo la compressione ulteriore di youtube peggiora molto la visibilità): queste formiche sono piccole e comunque poco visibili se le si vuole mostrare in un comportamento di gruppo, ma prestando particolare attenzione è possibile notare movimenti concentrici apparentemente casuali di più individui. Non è un caso che la prima cosa che possa sorgere in mente sia la definizione crazy ants, la specie in questo caso si è rivelata essere la famigerata Paratrechina longicornis infestante tropicale in ambienti urbanizzati ormai quasi a livello globale.
La prima più appariscente nei numeri (per fare un confronto più vicino a noi, socialità e numeri sviluppati quanto le Tapinoma e comportamenti simili) che talvolta vedevo creare lunghissime file, non belle dritte ma alquanto disordinate, di formichine nere veramente piccole: dimensioni circa 1-2 mm con le zampe lunghe abbastanza da farle apparire appena più grandi, ma che al contempo ne esacerbavano la corporatura esile e apparentemente fragile.
Altra specie infestante facilmente rinvenibile in ambiente urbano e considerata alla stregua della precedente, la specie in questo caso è Anoplolepis gracilipes genericamente denominata yellow crazy ants a causa della proliferazione alloctona analoga alla precedente.
La seconda invece una formichina grande circa il doppio della precedente, sempre altrettanto esile e fragile ma di un bel colore aranciato pallido, che pur sembrando avere operaie più distanziate e solitarie, comunque batteva ogni muretto al pari dell'altra per quanto mostrando numeri notevolmente inferiori.
Fuori dalla zona industriale la città comunque offre ambienti abbastanza appetibili per una certa biodiversità. Su questo piano una delle cose che nettamente sconvolge quando si percorrono i viali alberati è cosa sia in realtà il concetto di albero a queste latitudini. Si può letteralmente sentire impallidire il ricordo dei nostrani mirabolani (Prunus cerasifera), aceri (Acer campestre), tigli (Tilia cordata), bagolari (Celtis australis), come se si riducessero al rango quasi di cespugli; dopo aver visto i tropici si potrebbe addirittura osare dire che perfino un ippocastano (Aesculus hippocastanum), un platano (Platanus orientalis) o una grossa quercia (Quercus robur) possono sembrare degli alberi non così degni di nota, se confrontati agli esemplari maggiori presenti a tali latitudini equatoriali.
Pokok Sena (Pterocarpus indicus), è un albero autoctono molto piantumato lungo i viali della metropoli in ambiente urbano (in realtà è pianta considerata vulnerabile a causa della riduzione del suo ambiente naturale) può arrivare tranquillamente a 30 metri d'altezza e il suo legno non viene attaccato dalle termiti, notavo spesso i suoi frutti secchi per terra che sfruttano un sistema di dispersione aerea identico a quello dell'Olmo, con l'unica differenza che in questo caso il seme è di 2-3 cm di diametro e il disco alare di 4-6 cm.
L'albero tipico di un viale è un “qualcosa” che ha un tronco per lo meno di due metri di diametro e che da noi incuterebbe un rispetto monumentale, oltre a questo, e quasi altrettanto sconcertante, è il fatto che ciascun albero risulta essere ospite, come minimo, per almeno una mezza dozzina di altre specie vegetali che scelgono: se infilarsi fra le cavità della sua corteccia, arrampicarsi a stolone lungo i suoi rami, acquattarsi su in cima ad una biforcazione e sbocciare in un calice di foglie abbraccianti, spuntare ad una decina di metri dal suolo e poi ridiscendere con le radici a penzoloni verso il basso e così via senza soluzione di continuità, creando un ammasso complesso e inestricabile che credo costituirebbe, non solo il nirvana per il più mite dei botanici, ma certamente una visione estasiante per chiunque si appassioni ai sistemi biologici!
Le foglioline nastriformi che ricoprono questo tronco appartengono a una delle felci epifite (Pyrrosia sp.) che osservavo più di frequente sugli alberi nei viali, la pianta in sé sembrava molto semplice e costituita da un paio di foglioline semplici, prodotte da un singolo nodo radicante sviluppato su uno stolone, ma questo come una rete connetteva tutte le altre presenti e imbrigliava il tronco ospitante.
In questo particolare di una chioma, in realtà le foglie che appartengono realmente all'albero sono la minoranza e corrispondono a quelle più verdi chiare dei rametti al centro, poco più in basso e sulla destra si può notare ben isolato un esemplare di felce a foglia liscia (Asplenium sp.), invece sui rami molte delle foglie frastagliate sono di un altra specie di felce epifita (Drynaria cf. quercifolia) e se si nota ci sono anche quelle marroni e secche che ricoprono la parte inferiore dei rami (la differente forma fra le foglie basali secche e quelle principali è caratteristica del genere Drynaria).
Visione da vicino di una delle specie di felci epifite (Asplenium cf. australasicum) che frequentemente si sviluppano a partire dalle cavità presenti sui rami e che si sviluppano come una pianta vera e propria anche se caratterizzate, come molte epifite, da apparato radicale poco appariscente.
Varie piante (come quelle del genere Ficus) producono normalmente lunghe radici aeree grazie alla forte umidità ambientale presente comunemente a queste latitudini, ma anche alcune epifite talvolta producono radici cascanti.
La ragione di questa fierezza vegetale e di una certa “pressione irruente a crescere” che, perfino nel contesto più urbano della metropoli, si percepisce sempre e ben presente sullo sfondo, è legata al fatto che dove recentemente si è fatta spazio la città, c'è sempre stata la foresta pluviale mai soggiogata a vincoli di sorta. Anche la più piccola area dismessa, se non riempita di pietrisco od altra rottura di cantiere, ritorna con calma e costanza ad essere terra di conquistata delle specie vegetali, che in questa parte di mondo non conoscono pause vegetative, né danno alcun significato alla stagionalità che invece per noi dei climi temperati e agli antipodi è consueta ed ovvia.
Mi risulta difficile ancora adesso dare un'idea di quello che si percepisce direttamente là riguardo al vigore delle specie vegetali: è una cosa che lascia un po' spiazzati la prima volta che vi ci si trova a contatto, proprio per mancanza di riferimenti alle nostre latitudini temperate.
Provo quindi a fare qualche contrapposizione con ciò che si può aver a che fare qua da noi e che possa dare un'idea più concreta e tangibile ai più. In fondo qualcosa di tropicale c'è anche nelle case occidentali: le comuni piante da appartamento.
Qua e là in Malesia può capitare di avere una visione familiare, un deja vu, che alla familiarità aggiunge qualcosa di insolito: magari rammenti per un attimo la piantina di potos (Epipremnum aureum) che ti occupa a malapena una mensola nel tuo appartamento italiano, mentre passi davanti alla stessa specie che ai tropici assume le proporzioni di un edera gigante che abbraccia un albero intero e mostra foglie ampie una trentina di centimetri!
Altra pianta comunemente coltivata in appartamento per il fatto che non aumenta troppo di dimensioni è quel piccolo alberello che sviluppa una fitta chioma di foglie palmate e composite (Schefflera arboricola), normalmente tenute in vaso in casa crescono con una lentezza incredibile: di norma resta un alberello alto appena più di un metro, persino dopo svariati anni, e raramente ho visto esemplari ben coltivati superare l'altezza di un essere umano. Questo ovviamente non vale nel clima caldo e umido equatoriale, anche qua è un alberello ornamentale, ma coltivato nelle bordure raggiunge dimensioni proprio inaspettate, come farebbe un comune albero nei nostri parchi.
Un ultima ben nota pianta da appartamento che mi è capitato di vedere coltivata nei parchi è la comune Dieffenbachia amoena.
Non è un caso che a parte la prima citata queste non siano piante autoctone, perché almeno nella mia esperienza, da queste parti oltre alle piante da foresta tropicali spontanee della zona è comune vedere coltivate piante da clima tropicale ma provenienti da altre parti del mondo.
Mercato locale malesiano in cui viene messa in mostra frutta tropicale di produzione per lo più locale.
L'interesse non è limitato alle piante ornamentali piantate nei parchi ma assume una vesta pragmatica ed una certa importanza economica soprattutto nel caso delle piante da frutto e di sfruttamento agricolo. Non è raro perciò vedere crescere nei piccoli giardini domestici anche gli steli dritti e spogli eccetto in cima della Papaia. D'altronde la frutta è una delle risorse più tipiche di questo paese e sicuramente anche un palato non abituato alla cucina orientale può certamente gioire per le abbuffate di frutta tropicale matura che si possono fare per iniziare la giornata o in un qualsiasi altra pausa da spuntino. Provo a fare una accennata rassegna sicuramente non esaustiva ma che può rendere un poco l'idea della frutta che si può comunemente assaporare.
Svariate varietà di banana tipicamente reperibili in Malesia.
Partendo da frutta comune anche da noi, non si può non nominare la banana (Musa acuminata) dato che è specie autoctona del sudest-asiatico. Ho incontrato spesso queste palmette che crescono spontaneamente ai bordi della foresta o dove la copertura arborea si dirada un minimo, le varietà di frutto che si trovano nei mercati locali sono a frutto medio e meno arcuate e grandi di quelle vendute per il mercato occidentale ma il sapore non si discosta molto.
In primo piano sulla destra, frutti di pumilo (Citrus maxima) che rappresenta l'agrume dal frutto più grande. Subito dietro: ananasso, guava, dragon-fruit. Sulla sinistra comuni pere, mele e arance che generalmente sono importate dalla Cina o altri paesi dell'area pacifica.
Un altro frutto comune anche da noi e altrettanto anche qua è l'ananasso (Ananas comosus), bromeliacea domesticata da millenni in sudamerica, che nelle varietà asiatiche ho notato avere frutti un po' più piccoli più cilindrici che ovoidali, con ciuffo più ridotto e tassellatura più fitta e dalla polpa quasi bianca; il sapore è meno zuccherino di quelli che arrivano sulle nostre tavole a natale ma altrettanto dissetante.
Molto apprezzate dalla popolazione e comunemente coltivate anche qua, sono tutte le cucurbitacee, che definiscono genericamente watermelon e honeydew melon in inglese, che altro non sono che le comuni angurie (Citrullus lanatus) e i meloni (Cucumis melo): entrambi ugualmente familiari rispetto a quelli nostrani, accenno solo che delle prime si possono trovare spesso in varietà a polpa gialla (mai viste da noi e lascia un po' straniti in effetti vedere angurie identiche come dimensioni alle nostre ma gialle), mentre i secondi sono riconducibili tutte a varietà con polpa bianca (simili alle varietà che si usano più in Italia centromeridionale e che maturano in tardo autunno/inverno).
Altri frutti per noi comuni ma da loro meno consumati perché generalmente importati dalla Cina o climi più temperati dell'area pacifica sono arance, mele e pomi simili.
In primo piano un banchetto con una varietà di papaia a frutto relativamente piccolo (la prima foto del mercato mostrava frutti di dimensione molto maggiore), sullo sfondo arance e altri pomi di importazione.
Passando invece a frutta più tipicamente tropicale, anche se di origine sudamericana, la regina come popolarità è appunto la papaia (Carica papaya), frutto allungato dalla polpa soda (simile a un melone come consistenza) e dal sapore molto delicato e appena dolce, che qui si trova con numerose varietà dalle dimensioni anche piuttosto consistenti (maggiori di quelli che arrivano raramente sui nostri mercati).
Diverse varietà di mango con frutti verdi probabilmente più acerbi e altre gialle più mature, in primo piano mazzi di frutti longan.
Dall'altro lato, originario dell'India, come degno re, c'è secondo me uno dei frutti più buoni in assoluto, cioè il mango (Mangifera indica) che qui si può trovare in decine di varietà con frutti più o meno grandi, più o meno allungati o ricurvi e che vengono usati con polpa più o meno matura e più o meno colorata. Infatti se lo si mangia a maturazione completa la polpa è dolcissima e liquescente, generalmente lo si gusta molto bene se trasformato come succo dissetante in uno degli esercizi detti fruit bar che li forniscono ai bordi delle strade (qualsiasi succo di frutta che avrete gustato prima impallidirà al confronto), tuttavia lo si può utilizzare anche come green mango cioè in uno stadio più acerbo in cui la polpa è molto più soda e la nota acidula mischiata a quella leggermente zuccherina ad inizio maturazione, dà un interessante bilanciamento fra freschezza e sapore. Sotto questo aspetto, andrebbe aperta un'immensa parentesi sul fatto che nelle varie cucine asiatiche non ci sono certe demarcazioni più sentite da noi (anche se alcune eccezioni le potrei trovare perfino nella mia tradizionale cucina emiliana) sugli accoppiamenti di sapori, perciò non è un raro che il mango (o altra frutta) finisca come nota di accompagnamento di un piatto di carne, o addirittura come ingrediente principe della famosa insalata o perfino come fine pasto da gourmet se disidratato e affumicato. Altrettanto comune nei buffet alla cinese è il longan (Dimocarpus longan), frutto delle dimensioni di una noce con buccia secca e sottile, facile da sfilare e che protegge una polpa biancastra simile al litci (Litchi chinensis) sia come consistenza carnosa che sapore dolce e aromatico. Entrambe le piante sono originarie dell'asia tropicale.
Tornando un attimo al discorso dei fruit bar, tra i vari succhi che si possono apprezzare c'è quello del cocco (Cocos nucifera), certo ti svuotano un frutto intero e perciò c'è parecchio da bere, inoltre è un succo un po' grasso e sostanzioso, però è buon modo per ristorarsi dopo una lunga camminata ed il retrogusto è abbastanza rinfrescante, probabilmente perché svuotano frutti verdi e non completamente maturi (al riguardo va detto che in questi frutti vi è in genere uno strato sottilissimo di polpa, per cui ho il dubbio che potrebbe anche essere una varietà particolare per tale usi).
A partire dal primo piano i frutti del drago di colore rosso carico e dalla particolare forma, appena dietro i grossi frutti della guava, poco davanti agli ananassi.
Un altro frutto che amano consumare come succo è la guava (Psidium guajava), pianta di origine centro-americana che produce dei frutti tondeggianti con buccia rugosa e verdastra, la polpa piuttosto croccante si può mangiare tagliata in maniera simile a come noi consumeremmo una pera e per sapore vi rassomiglia molto alla lontana. Sempre di origine centro-americana vi è il variopinto frutto del drago (Hylocereus undatus), prodotto da una appartenente alle Cactaceae. La buccia del frutto gli dà la vaga somiglianza di un turgido carciofo rosso che se tagliato mostra una polpa bianca di consistenza un po' più morbida di un melone e contenente una miriade di piccoli semi come il kiwi (Actinidia chinensis), il sapore è poco marcato e leggermente dolce.
La polpa della giaca (jack-fruit) viene estratta da un sincarpo che raggiunge dimensioni ragguardevoli (uno dei più grandi al mondo): qui si può vedere al centro la parte commestibile arancione già riposta in buste per la vendita, mentre sulla destra restano le bucce svuotate a dare un'idea della dimensione complessiva del frutto.
Alcuni frutti originari dell'Asia tropicale, però, sono piuttosto differenti dalla consuete drupe e pomi, uno di questi è la giaca (Artocarpus heterophyllus), frutto di un albero appartenente alle Moraceae (parente cioè di gelso e fico, non di rovi e lamponi), che produce una grossa e ovoidale infruttescenza multipla, una specie di mora protetta esteriormente da una buccia coriacea esterna, al cui interno la parte commestibile è il sottile involucro che avvolge i grandi semi. Questa arillo carnoso ed elastico, spesso circa mezzo centimetro, diventa arancione a maturazione e assume sapore dolciastro e aroma vanigliato difficilmente paragonabile a frutti nostrani.
Altro frutto dalla forma particolare a creste stellate è la carambola (Averrhoa carambola), frutto di albero appartenente alle Oxalidaceae (parente dei erbe come i trifogli, che producono infatti capsule di forma rassomigliante per quanto molto più piccole), il frutto nei centri commerciali si trova denominato star-fruit perché la sezione ha appunto la forma di una stella a cinque punte, la buccia lucida molto sottile è verde acceso o appena brunastra, non si separa dalla polpa che è molto succosa. Il sapore acido con un retrogusto rassomigliante il salato è qualcosa che potrebbe quasi essere una metafora zen, semplice e complesso al contempo tale da rapire la mente perfino in dissertazioni filosofiche.
Ultimo frutto che cito per una sua celeberrima particolarità, ma che non ho potuto apprezzare dato che si raccoglie solo al termine della stagione più asciutta, è il durione (Durio zibethinus): una gigantesca noce irta di spine che contiene all'interno una polpa paglierina dall'ottimo sapore. Il frutto è tipico di queste regioni e molto apprezzato, tuttavia il frutto maturo ha un odore particolarmente penetrante e intenso, poco gradevole per chi non vi è abituato: per tale ragione è comune trovare in luoghi pubblici o negli ingressi degli alberghi, cartelli ben chiari in cui si prescrive fra i vari divieti anche quello di non introdurre durian in tali luoghi chiusi.
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Re: Penang, Malesia
Plantae
Mi ricollego all’excursus appena concluso sulla frutta per introdurre una breve rassegna botanica. Ovviamente l’ambiente di foresta pluviale è quello più interessante e caratteristico in un paese tropicale come la Malesia. Anche se inoltrarsi in una simile ammasso di alberi non è in fondo troppo dissimile che fare la medesima cosa in un qualsiasi bosco, come ho già accennato si è ad un livello che spiazza completamente sia per le dimensioni che per la varietà di specie: devo ammettere come dissi a qualcuno che la sensazione di disorientamento e di difficoltà nell’avere la più pallida idea di come raccapezzarsi e da quale parte cominciare ad esplorare è ciò che più complica l’esperienza. Si è letteralmente inondati di stimoli e curiosità, ma al contempo questi sono continuamente celati in un marasma di fogliame che non si sa bene come affrontare.
La visita ad un giardino botanico può essere un valido aiuto da consigliare per farsi un po’ d’ordine in testa prima di calarsi dentro a un tale ammasso di stimoli sovrapposti gli uni sugli altri. Quello di Penang è ben tenuto e ordinato: si trovano le specie grandi e piccole chiaramente descritte (anche se devo meravigliarmi perché è prassi generale in Asia che pure gli alberi nei viali cittadini riportino spesso un cartellino col nome della specie) e pure alcune serre monotematiche.
Mi permetto di citare solo alcune (non per forza le più comuni) specie vegetali che avevano attirato la mia attenzione.
Albero dei tulipani (Spathodea campanulata)
Albero alloctono (originario dell'Africa) comunemente coltivato per le infiorescenze dal colore rosso acceso.
Albero fiamma (Peltophorum pterocarpum)
Albero autoctono che per motivi ornamentali è coltivato anche in altre aree aventi clima tropicale.
Albero delle palle di cannone (Couroupita guianensis)
Pianta alloctona (originaria del Sud America) comunemente coltivata da tempo in Asia Meridionale per ragioni per lo più ornamentali e culturali (giardini dei templi).
Palma della noce di Betel (Areca catechu)
Relativamente all'importanza che riveste l'uso dei suoi frutti (contenenti vari alcaloidi) ci sarebbe da aprire un'intera parentesi culturale comprendente secoli di storia per tutti i paesi dell'Asia meridionale, ma si finirebbe ad allargare il racconto ad altri viaggi... bīnláng.
Palma Nibong (Oncosperma tigillarium)
Palma a cui badare più che altro perché ricoperta da lunghe spine sia sul tronco che sulle foglie, sconsigliabile quindi rovistare di primo acchito fra le foglie secche a terra se ci si trova sotto questi alberi.
Giglio nero (Tacca cristata)
Pianta non facilissima da incontrare e purtroppo non ben fotografata per via del fatto che cresce sul fondo del sottobosco dove è piuttosto buio.
Tazza di scimmia (Nepenthes albmarginata)
Ben nota pianta carnivora dotata di trappole ad imbuto (ascidi), il cui nome comune fa ovviamente riferimento alle credenze popolari.
Gloria del mattino (Ipomoea violacea)
Comune pianta ornamentale (ben nota anche per altre ragioni), la cito soprattutto perché sempre nello stesso genere qui cresce la simile Ipomoea acquatica, i cui germogli noti come water spinach hanno un vasto uso culinario comune nella cucina malese e in generale nella regione indocinese.
Orchidea bamboo (Arundina graminifolia)
Orchidea unica nel suo genere che come piante perenne raggiunge le dimensioni di un piccolo arbusto, comune in tutta l'Asia Meridionale.
Selaginella intermedia
Una delle miriadi di specie di felci che si possono incontrare nel sottobosco della foresta.
Fungi
Spesso non ci si pensa subito, ma il fatto di avere un clima caldo e umido, è una vera e propria manna per una precisa categoria di organismi tra i più antichi e dal ruolo tra i più importanti nel ciclo biologico. I funghi sono l'altro regno di organismi che dopo quello delle piante sfruttano meglio il vantaggio climatico per proliferare in abbondanza. Se si pensa un attimo al fatto che, nei nostri climi temperati, la comparsa dei corpi fruttiferi dalle ife avviene solo in determinati periodi stagionali, in cui le condizioni di umidità e temperatura sono propizie, è facile capire perché, invece, a queste latitudini si possano trovare praticamente tutto l'anno.
Non è nemmeno un caso tra l'altro, che nelle tradizioni culinarie di questi posti siano uno degli alimenti più abusati e comunemente reperibili: non è raro iniziare una cena con una zuppa di funghi o trovarseli fritti come accompagnamento di un piatto più complesso, soprattutto la cucina cinese meridionale fa uno smodato uso di tali leccornie.
È quindi tutt'altro che raro imbattersi in funghi dai colori accesi o dalle strane forme mentre si percorre la foresta, d'altronde la presenza di legno morto e da consumare è più che abbondante in tale ambiente e l'umidità unita al caldo rende la situazione ideale per la riproduzione dei miceti.
I licheni non sono una prerogativa delle foreste fredde, tutt’altro: in clima tropicale ricoprono con fronde altrettanto cascanti e pervasive rami e tronchi: sono talmente comuni che pure in questi ambienti sono un’importante fonte di cibo per alcuni artropodi che si incontreranno nella rassegna a seguire.
Animalia
Faccio un breve resoconto degli animali più interessanti che mi è capitato d'incontrare, tenendo un minimo di distinzione tassonomica per ordinare la rassegna.
Mammalia
Una delle cose più interessanti ai tropici è la possibilità di vedere dei mammiferi molto simili nei comportamenti agli esseri umani. Sembra strano forse iniziare a descrivere delle semplici scimmie in questo modo, ma la prima cosa che sovviene in mente osservando questi esseri, a parte l'ovvio fatto che fisicamente non sono troppo dissimili rispetto a noi, è il fatto che anche le loro espressioni facciali e il loro modo di guardare o comportarsi dimostra di essere complesso e sfaccettato, per niente tanto lontano dai comportamenti talvolta irrazionali delle folle di umani che brulicano nella metropoli. Sull'isola esistono anche specie più arboricole o schive, ma la specie più presente e comune in tutta l'Asia Meridionale è il macaco cinomolgo (Macaca fascicularis) che forma in genere piccoli gruppi sociali di qualche decina di elementi.
Lascia un po' perplessi vedere un intero stradello di un parco occupato da un gruppetto di animali che compiono tutti lo stesso incomprensibile gesto di strappare e strofinare delle foglie, anche se probabilmente la motivazione poteva essere più banale di quanto potessi pensare, non sono riuscito a comprenderla, ma mi è rimasta la facile associazione metaforica con attività ripetitive di ben altri primati, comuni a queste latitudini, un poco più grandi e (si riterrebbe generalmente) intelligenti.
Queste scimmie si possono facilmente incontrare nel giardino botanico, sito nella periferia collinare della metropoli, e spesso anche lungo le strade che attraversano la foresta, ma personalmente non le ho mai viste spingersi in città. La dieta di queste scimmie, come per la maggior parte dei primati, è onnivora e molto opportunista (non a caso sono animali prolifici in queste zone): si basa principalmente su frutta e vegetali con più raro apporto di proteine dal consumo di artropodi, piccoli vertebrati e uova di uccelli.
La maggior parte degli individui nei gruppi è femmina e spesso accudiscono i cuccioli, ciononostante conviene prestare attenzione incontrandole perché la presenza dei cuccioli può rendere tutta la comunità abbastanza suscettibile. I gruppi sono generalmente regolati da una gerarchia sociale ed è facile notare i pochi maschi più grossi e aggressivi, in mezzo alle più numerose femmine coi cuccioli. Proprio così come accade con gli esseri umani conviene sempre mantenere alta la guardia: sono animali intelligenti e dal temperamento mutevole, spesso alla ricerca di cibo per cui non si fanno problemi ad approfittarsene se le si nutre (azione sempre sconsigliata, anche per il significato di inferiorità gerarchica che possono interpretare) e possono sottrarre oggetti con la forza: generalizzando sono spesso molto rumorose e tendenzialmente litigiose. Per quanto siano animali di piccole dimensioni (rispetto ai “primati metropolitani” già citati per cui si terrebbero valide simili considerazioni), un consiglio che non sempre i turisti tengono a mente è di non sottovalutarle, visto che non è inconsueto sentire racconti di aggressioni.
Tanto per confermare le storie che mi sono state raccontate, questo individuo più grosso è un maschio e si trovava su un albero a fianco della madre e cuccioli precedenti e, avendo io un poco insistito a fotografare, cominciò in breve ad urlare minacciosamente scuotendo l'albero e gli ci volle solo un attimo per scendere e lanciarsi verso di me tentando di mordermi, fortunatamente mi lasciò solo una gran voglia di rintuzzarlo a calci (fortunatamente per lui, sopita con la razionale superiorità che non valesse la pena di togliersi l’animale soddisfazione). In questi casi anche indietreggiare istintivamente può incitarle, comunque per quanto siano animali piccoli è bene evitare uno scontro diretto e allontanarsi con calma, vista l'aggressività che può coinvolgere l'intero gruppo e che possono facilmente graffiare e mordere col rischio di infezioni da non sottovalutare.
Aves
Gli uccelli sono fra i pochi animali comuni anche in città e, benché mi sarei aspettato una maggiore varietà e specie più particolari, basta fare un poco di attenzione per intravederne sempre qualcuno sui maestosi alberi. Le specie più comuni somigliano agli storni e si possono tranquillamente osservare anche da vicino sul limitare di siepi lungo le strade meno trafficate o sui cespugli nei parchi.
Maina crestata (Acridotheres cristatellus)
Maina comune (Acridotheres tristis)
Per quanto non siano animali schivi, dimostrano una certa intelligenza e si tengono a una precauzionale distanza dall'uomo. Tuttavia in talune situazioni non è difficile avvicinarli con calma e riuscire a riprenderli da vicino.
Airone delle mangrovie (Butorides striata)
Specie di Ardeidae abbastanza piccola e che non ha le zampe lunghe come gli aironi che siamo abituati a vedere.
Oriolo nucanera (Oriolus chinensis)
Un uccello fruttivoro e insettivoro comune in Asia Meridionale: questo esemplare attirò la mia attenzione col canto e a fatica riuscii ad individuarlo fra i rami.
In altre situazioni può capitare che siano invece loro a sorprenderti: di sera sul lungo mare di Georgetown può capitare di vedersi piombare a fianco una grossa presenza bianca che si riconosce facilmente se si ha il tempo di capire cosa accade e di osservare il maestoso rapace notturno prima che fugga con un roditore fra le fauci. I barbagianni (Tyto alba) sono qua comuni e raggiungono dimensioni notevoli: non mi sono messo a misurarli ovviamente, ma resta la sensazione di bestie alte una quarantina di centimetri. Gli appartenenti alla famiglia Ardeidae sono tra gli uccelli più comuni dato che spesso il litorale si presenta come un ambiente lagunare dal fondale melmoso normalmente esposto durante la bassa marea.
Garzetta comune (Egretta garzetta) che perlustra il fondo liberato dalla marea mentre in primo piano un perioftalmo dorato (Periophthalmus chrysospilos) si dilegua con calma discreta.
Reptilia
Per quanto riguarda i rettili ci si può stupire ancor più considerevolmente dato che sull'isola sono presenti almeno un paio di specie di varani aventi dimensioni ragguardevoli, diversi serpenti interessanti e, nel Parco Nazionale dell'Isola di Penang, vi è una spiaggia santuario di riproduzione delle tartarughe. I varani si possono vedere anche in città, essendo animali diurni si può saltuariamente scorgere qualche giovane esemplare sulla riva del lungomare a prendere il sole come un’enorme lucertola o, semplicemente, mentre frugano in cerca di cibo nei cestini dei parchi. In ogni caso sono animali che a dispetto di come si reputa l’ordine dimostrano una spiccata intelligenza nell'evitare le persone e nel rendersi difficili da avvicinare: se si accorgono di essere fissati, tendono a fuggire nel primo anfratto disponibile o ad arrampicarsi a spirale rapidamente su un albero appena si provi a seguirli, perciò generalmente passano abbastanza inosservati nelle situazioni cittadine. Ciononostante, se capiterà l'occasione, resterete quanto meno spiazzati nel vedere una lucertola di quasi un metro, costeggiare una tranquilla strada di un quartiere residenziale e infilarsi nel primo giardinetto di una villetta come farebbe da noi un gatto, con la differenza che se nel giardinetto ci fosse un felino non dubito si allarmerebbe a morte ad una tale vista temendo di fare la fine di un possibile pasto.
Il varano acquatico (Varanus salvator) è la specie più grossa che si può incontrare sull'isola (gli adulti più maturi possono raggiungere quasi i due metri) ed ha una spiccata confidenza con l'acqua, comune pure talvolta in città è il varano nebuloso (Varanus nebulosus) appena più piccolo e la cui livrea a macchie scure e verdi è molto bella soprattutto negli esemplari più giovani (peccato siano talmente veloci nella fuga a non essere riuscito mai a fotografarli).
Nella foresta è sicuramente possibile imbattersi in svariate specie di splendidi serpenti arboricoli, alcuni possono essere pericolosi per la tossicità del veleno, a quanto mi è stato detto, tuttavia sono come tutti i serpenti animali piuttosto schivi e tranquilli. Per quanto mi sia inoltrato nella foresta diverse volte non ho mai avuto il privilegio d'incontrarne, anche perché nella vegetazione più fitta diventa molto difficile scorgere un animale se non quando si svela nell’attimo in cui fugge impaurito. Tant'è che anche i locali che ho conosciuto e con cui parlavo spesso, non mi hanno mai fatto desistere dal visitare la foresta pluviale per tali ragioni di pericolo: alla mia curiosità in genere sui pericoli rispondevano divertiti affermando che per fortuna non c'erano tigri lì da loro; probabilmente non reputano una minaccia reale un comune e timido serpente, o meglio, suppongo non abbiano troppo sviluppato la fobia culturale molto occidentale per i rettili.
Anzi a riprova di quanto, a differenza che nella nostra, nella cultura orientale il serpente non sia dipinto come un animale malefico e meschino dalla religione, ma al contrario sia reputato mite e molto prossimo alla più pura spiritualità, mi pare d'obbligo raccontare che il posto in cui è più facile osservare benissimo dei serpenti si trova nella zona più industrializzata dell'isola: non è un museo, bensì un tempio! Il famosissimo Tempio della Nuvola Azzurra, pure meglio noto come Tempio del Serpente, è un piccolo tempio buddista all'interno del quale i monaci mantengono (e allevano liberi nel giardino annesso) svariati esemplari del crotalo di Wagler.
Crotalo di Wagler (Tropidolaemus wagleri)
Femmina adulta che ha assunto la caratteristica colorazione della maturità, questo serpente resta mansueto praticamente tutto il giorno in quello che ha definito come suo territorio e tende a cacciare al crepuscolo nutrendosi di piccoli vertebrati che capitano a tiro del suo organo sensoriale per l'infrarosso termico (fossette sensibili al calore che contraddistinguono i Crotalinae).
I gechi sono comunissimi in città ed è facile notarli a caccia di notte con la livrea perfettamente adattata al chiaro del muri, ma molte specie si possono vedere anche di giorno. Soprattutto nella foresta pluviale è possibile incontrare molte specie di gechi o lucertole, il problema principale resta comunque quello di riuscire a individuarle, sia per via del mimetismo che rende ardua l'individuazione nel folto del fogliame, sia perché molte sfuggono repentinamente quando si tenta di seguirle.
Hemidactylus platyurus è un geco molto comune in ambienti urbani sia di giorno che di notte.
Eutropis multifasciata è un grosso scinco di colorazione variabile dal rosso-brunastro al verde-oliva che si può incontrare abbastanza comunemente ed è caratterizzato dal ventre a righe.
Chondrichthyes/Osteichthyes
Per quanto riguarda quelli che generalmente si definiscono pesci bisognerebbe aprire un intero capitolo a parte, come è ovvio le temperature tropicali creano un biodiversità incredibile anche negli habitat marini. Di certo se si ha la possibilità di esplorare un ambiente di barriera corallina (io per farlo mi sono dovuto fare un paio di ore di aliscafo verso Palau Payar, verso il confine con la Thailandia), sarà difficile non restare sorpresi al pari che nella foresta pluviale se non in misura maggiore.
L'ambiente di barriera dipende molto dalla luce solare, ciò significa che la maggior parte delle forme di vita si incontra già su fondali di pochi metri, cosa che facilita enormemente l'esplorazione o per semplice apnea o con i brevetti per la subacquea. Non mi metto nemmeno ad elencare alcuna specie perché sinceramente in una tale situazione si perde rapidamente il conto: la sensazione che si ha in un tal frangente è che più che migliaia di pesci, si sia sopraffatti da migliaia di specie diverse!
Mi ricollego all’excursus appena concluso sulla frutta per introdurre una breve rassegna botanica. Ovviamente l’ambiente di foresta pluviale è quello più interessante e caratteristico in un paese tropicale come la Malesia. Anche se inoltrarsi in una simile ammasso di alberi non è in fondo troppo dissimile che fare la medesima cosa in un qualsiasi bosco, come ho già accennato si è ad un livello che spiazza completamente sia per le dimensioni che per la varietà di specie: devo ammettere come dissi a qualcuno che la sensazione di disorientamento e di difficoltà nell’avere la più pallida idea di come raccapezzarsi e da quale parte cominciare ad esplorare è ciò che più complica l’esperienza. Si è letteralmente inondati di stimoli e curiosità, ma al contempo questi sono continuamente celati in un marasma di fogliame che non si sa bene come affrontare.
La visita ad un giardino botanico può essere un valido aiuto da consigliare per farsi un po’ d’ordine in testa prima di calarsi dentro a un tale ammasso di stimoli sovrapposti gli uni sugli altri. Quello di Penang è ben tenuto e ordinato: si trovano le specie grandi e piccole chiaramente descritte (anche se devo meravigliarmi perché è prassi generale in Asia che pure gli alberi nei viali cittadini riportino spesso un cartellino col nome della specie) e pure alcune serre monotematiche.
Mi permetto di citare solo alcune (non per forza le più comuni) specie vegetali che avevano attirato la mia attenzione.
Albero dei tulipani (Spathodea campanulata)
Albero alloctono (originario dell'Africa) comunemente coltivato per le infiorescenze dal colore rosso acceso.
Albero fiamma (Peltophorum pterocarpum)
Albero autoctono che per motivi ornamentali è coltivato anche in altre aree aventi clima tropicale.
Albero delle palle di cannone (Couroupita guianensis)
Pianta alloctona (originaria del Sud America) comunemente coltivata da tempo in Asia Meridionale per ragioni per lo più ornamentali e culturali (giardini dei templi).
Palma della noce di Betel (Areca catechu)
Relativamente all'importanza che riveste l'uso dei suoi frutti (contenenti vari alcaloidi) ci sarebbe da aprire un'intera parentesi culturale comprendente secoli di storia per tutti i paesi dell'Asia meridionale, ma si finirebbe ad allargare il racconto ad altri viaggi... bīnláng.
Palma Nibong (Oncosperma tigillarium)
Palma a cui badare più che altro perché ricoperta da lunghe spine sia sul tronco che sulle foglie, sconsigliabile quindi rovistare di primo acchito fra le foglie secche a terra se ci si trova sotto questi alberi.
Giglio nero (Tacca cristata)
Pianta non facilissima da incontrare e purtroppo non ben fotografata per via del fatto che cresce sul fondo del sottobosco dove è piuttosto buio.
Tazza di scimmia (Nepenthes albmarginata)
Ben nota pianta carnivora dotata di trappole ad imbuto (ascidi), il cui nome comune fa ovviamente riferimento alle credenze popolari.
Gloria del mattino (Ipomoea violacea)
Comune pianta ornamentale (ben nota anche per altre ragioni), la cito soprattutto perché sempre nello stesso genere qui cresce la simile Ipomoea acquatica, i cui germogli noti come water spinach hanno un vasto uso culinario comune nella cucina malese e in generale nella regione indocinese.
Orchidea bamboo (Arundina graminifolia)
Orchidea unica nel suo genere che come piante perenne raggiunge le dimensioni di un piccolo arbusto, comune in tutta l'Asia Meridionale.
Selaginella intermedia
Una delle miriadi di specie di felci che si possono incontrare nel sottobosco della foresta.
Fungi
Spesso non ci si pensa subito, ma il fatto di avere un clima caldo e umido, è una vera e propria manna per una precisa categoria di organismi tra i più antichi e dal ruolo tra i più importanti nel ciclo biologico. I funghi sono l'altro regno di organismi che dopo quello delle piante sfruttano meglio il vantaggio climatico per proliferare in abbondanza. Se si pensa un attimo al fatto che, nei nostri climi temperati, la comparsa dei corpi fruttiferi dalle ife avviene solo in determinati periodi stagionali, in cui le condizioni di umidità e temperatura sono propizie, è facile capire perché, invece, a queste latitudini si possano trovare praticamente tutto l'anno.
Non è nemmeno un caso tra l'altro, che nelle tradizioni culinarie di questi posti siano uno degli alimenti più abusati e comunemente reperibili: non è raro iniziare una cena con una zuppa di funghi o trovarseli fritti come accompagnamento di un piatto più complesso, soprattutto la cucina cinese meridionale fa uno smodato uso di tali leccornie.
È quindi tutt'altro che raro imbattersi in funghi dai colori accesi o dalle strane forme mentre si percorre la foresta, d'altronde la presenza di legno morto e da consumare è più che abbondante in tale ambiente e l'umidità unita al caldo rende la situazione ideale per la riproduzione dei miceti.
I licheni non sono una prerogativa delle foreste fredde, tutt’altro: in clima tropicale ricoprono con fronde altrettanto cascanti e pervasive rami e tronchi: sono talmente comuni che pure in questi ambienti sono un’importante fonte di cibo per alcuni artropodi che si incontreranno nella rassegna a seguire.
Animalia
Faccio un breve resoconto degli animali più interessanti che mi è capitato d'incontrare, tenendo un minimo di distinzione tassonomica per ordinare la rassegna.
Mammalia
Una delle cose più interessanti ai tropici è la possibilità di vedere dei mammiferi molto simili nei comportamenti agli esseri umani. Sembra strano forse iniziare a descrivere delle semplici scimmie in questo modo, ma la prima cosa che sovviene in mente osservando questi esseri, a parte l'ovvio fatto che fisicamente non sono troppo dissimili rispetto a noi, è il fatto che anche le loro espressioni facciali e il loro modo di guardare o comportarsi dimostra di essere complesso e sfaccettato, per niente tanto lontano dai comportamenti talvolta irrazionali delle folle di umani che brulicano nella metropoli. Sull'isola esistono anche specie più arboricole o schive, ma la specie più presente e comune in tutta l'Asia Meridionale è il macaco cinomolgo (Macaca fascicularis) che forma in genere piccoli gruppi sociali di qualche decina di elementi.
Lascia un po' perplessi vedere un intero stradello di un parco occupato da un gruppetto di animali che compiono tutti lo stesso incomprensibile gesto di strappare e strofinare delle foglie, anche se probabilmente la motivazione poteva essere più banale di quanto potessi pensare, non sono riuscito a comprenderla, ma mi è rimasta la facile associazione metaforica con attività ripetitive di ben altri primati, comuni a queste latitudini, un poco più grandi e (si riterrebbe generalmente) intelligenti.
Queste scimmie si possono facilmente incontrare nel giardino botanico, sito nella periferia collinare della metropoli, e spesso anche lungo le strade che attraversano la foresta, ma personalmente non le ho mai viste spingersi in città. La dieta di queste scimmie, come per la maggior parte dei primati, è onnivora e molto opportunista (non a caso sono animali prolifici in queste zone): si basa principalmente su frutta e vegetali con più raro apporto di proteine dal consumo di artropodi, piccoli vertebrati e uova di uccelli.
La maggior parte degli individui nei gruppi è femmina e spesso accudiscono i cuccioli, ciononostante conviene prestare attenzione incontrandole perché la presenza dei cuccioli può rendere tutta la comunità abbastanza suscettibile. I gruppi sono generalmente regolati da una gerarchia sociale ed è facile notare i pochi maschi più grossi e aggressivi, in mezzo alle più numerose femmine coi cuccioli. Proprio così come accade con gli esseri umani conviene sempre mantenere alta la guardia: sono animali intelligenti e dal temperamento mutevole, spesso alla ricerca di cibo per cui non si fanno problemi ad approfittarsene se le si nutre (azione sempre sconsigliata, anche per il significato di inferiorità gerarchica che possono interpretare) e possono sottrarre oggetti con la forza: generalizzando sono spesso molto rumorose e tendenzialmente litigiose. Per quanto siano animali di piccole dimensioni (rispetto ai “primati metropolitani” già citati per cui si terrebbero valide simili considerazioni), un consiglio che non sempre i turisti tengono a mente è di non sottovalutarle, visto che non è inconsueto sentire racconti di aggressioni.
Tanto per confermare le storie che mi sono state raccontate, questo individuo più grosso è un maschio e si trovava su un albero a fianco della madre e cuccioli precedenti e, avendo io un poco insistito a fotografare, cominciò in breve ad urlare minacciosamente scuotendo l'albero e gli ci volle solo un attimo per scendere e lanciarsi verso di me tentando di mordermi, fortunatamente mi lasciò solo una gran voglia di rintuzzarlo a calci (fortunatamente per lui, sopita con la razionale superiorità che non valesse la pena di togliersi l’animale soddisfazione). In questi casi anche indietreggiare istintivamente può incitarle, comunque per quanto siano animali piccoli è bene evitare uno scontro diretto e allontanarsi con calma, vista l'aggressività che può coinvolgere l'intero gruppo e che possono facilmente graffiare e mordere col rischio di infezioni da non sottovalutare.
Aves
Gli uccelli sono fra i pochi animali comuni anche in città e, benché mi sarei aspettato una maggiore varietà e specie più particolari, basta fare un poco di attenzione per intravederne sempre qualcuno sui maestosi alberi. Le specie più comuni somigliano agli storni e si possono tranquillamente osservare anche da vicino sul limitare di siepi lungo le strade meno trafficate o sui cespugli nei parchi.
Maina crestata (Acridotheres cristatellus)
Maina comune (Acridotheres tristis)
Per quanto non siano animali schivi, dimostrano una certa intelligenza e si tengono a una precauzionale distanza dall'uomo. Tuttavia in talune situazioni non è difficile avvicinarli con calma e riuscire a riprenderli da vicino.
Airone delle mangrovie (Butorides striata)
Specie di Ardeidae abbastanza piccola e che non ha le zampe lunghe come gli aironi che siamo abituati a vedere.
Oriolo nucanera (Oriolus chinensis)
Un uccello fruttivoro e insettivoro comune in Asia Meridionale: questo esemplare attirò la mia attenzione col canto e a fatica riuscii ad individuarlo fra i rami.
In altre situazioni può capitare che siano invece loro a sorprenderti: di sera sul lungo mare di Georgetown può capitare di vedersi piombare a fianco una grossa presenza bianca che si riconosce facilmente se si ha il tempo di capire cosa accade e di osservare il maestoso rapace notturno prima che fugga con un roditore fra le fauci. I barbagianni (Tyto alba) sono qua comuni e raggiungono dimensioni notevoli: non mi sono messo a misurarli ovviamente, ma resta la sensazione di bestie alte una quarantina di centimetri. Gli appartenenti alla famiglia Ardeidae sono tra gli uccelli più comuni dato che spesso il litorale si presenta come un ambiente lagunare dal fondale melmoso normalmente esposto durante la bassa marea.
Garzetta comune (Egretta garzetta) che perlustra il fondo liberato dalla marea mentre in primo piano un perioftalmo dorato (Periophthalmus chrysospilos) si dilegua con calma discreta.
Reptilia
Per quanto riguarda i rettili ci si può stupire ancor più considerevolmente dato che sull'isola sono presenti almeno un paio di specie di varani aventi dimensioni ragguardevoli, diversi serpenti interessanti e, nel Parco Nazionale dell'Isola di Penang, vi è una spiaggia santuario di riproduzione delle tartarughe. I varani si possono vedere anche in città, essendo animali diurni si può saltuariamente scorgere qualche giovane esemplare sulla riva del lungomare a prendere il sole come un’enorme lucertola o, semplicemente, mentre frugano in cerca di cibo nei cestini dei parchi. In ogni caso sono animali che a dispetto di come si reputa l’ordine dimostrano una spiccata intelligenza nell'evitare le persone e nel rendersi difficili da avvicinare: se si accorgono di essere fissati, tendono a fuggire nel primo anfratto disponibile o ad arrampicarsi a spirale rapidamente su un albero appena si provi a seguirli, perciò generalmente passano abbastanza inosservati nelle situazioni cittadine. Ciononostante, se capiterà l'occasione, resterete quanto meno spiazzati nel vedere una lucertola di quasi un metro, costeggiare una tranquilla strada di un quartiere residenziale e infilarsi nel primo giardinetto di una villetta come farebbe da noi un gatto, con la differenza che se nel giardinetto ci fosse un felino non dubito si allarmerebbe a morte ad una tale vista temendo di fare la fine di un possibile pasto.
Il varano acquatico (Varanus salvator) è la specie più grossa che si può incontrare sull'isola (gli adulti più maturi possono raggiungere quasi i due metri) ed ha una spiccata confidenza con l'acqua, comune pure talvolta in città è il varano nebuloso (Varanus nebulosus) appena più piccolo e la cui livrea a macchie scure e verdi è molto bella soprattutto negli esemplari più giovani (peccato siano talmente veloci nella fuga a non essere riuscito mai a fotografarli).
Nella foresta è sicuramente possibile imbattersi in svariate specie di splendidi serpenti arboricoli, alcuni possono essere pericolosi per la tossicità del veleno, a quanto mi è stato detto, tuttavia sono come tutti i serpenti animali piuttosto schivi e tranquilli. Per quanto mi sia inoltrato nella foresta diverse volte non ho mai avuto il privilegio d'incontrarne, anche perché nella vegetazione più fitta diventa molto difficile scorgere un animale se non quando si svela nell’attimo in cui fugge impaurito. Tant'è che anche i locali che ho conosciuto e con cui parlavo spesso, non mi hanno mai fatto desistere dal visitare la foresta pluviale per tali ragioni di pericolo: alla mia curiosità in genere sui pericoli rispondevano divertiti affermando che per fortuna non c'erano tigri lì da loro; probabilmente non reputano una minaccia reale un comune e timido serpente, o meglio, suppongo non abbiano troppo sviluppato la fobia culturale molto occidentale per i rettili.
Anzi a riprova di quanto, a differenza che nella nostra, nella cultura orientale il serpente non sia dipinto come un animale malefico e meschino dalla religione, ma al contrario sia reputato mite e molto prossimo alla più pura spiritualità, mi pare d'obbligo raccontare che il posto in cui è più facile osservare benissimo dei serpenti si trova nella zona più industrializzata dell'isola: non è un museo, bensì un tempio! Il famosissimo Tempio della Nuvola Azzurra, pure meglio noto come Tempio del Serpente, è un piccolo tempio buddista all'interno del quale i monaci mantengono (e allevano liberi nel giardino annesso) svariati esemplari del crotalo di Wagler.
Crotalo di Wagler (Tropidolaemus wagleri)
Femmina adulta che ha assunto la caratteristica colorazione della maturità, questo serpente resta mansueto praticamente tutto il giorno in quello che ha definito come suo territorio e tende a cacciare al crepuscolo nutrendosi di piccoli vertebrati che capitano a tiro del suo organo sensoriale per l'infrarosso termico (fossette sensibili al calore che contraddistinguono i Crotalinae).
I gechi sono comunissimi in città ed è facile notarli a caccia di notte con la livrea perfettamente adattata al chiaro del muri, ma molte specie si possono vedere anche di giorno. Soprattutto nella foresta pluviale è possibile incontrare molte specie di gechi o lucertole, il problema principale resta comunque quello di riuscire a individuarle, sia per via del mimetismo che rende ardua l'individuazione nel folto del fogliame, sia perché molte sfuggono repentinamente quando si tenta di seguirle.
Hemidactylus platyurus è un geco molto comune in ambienti urbani sia di giorno che di notte.
Eutropis multifasciata è un grosso scinco di colorazione variabile dal rosso-brunastro al verde-oliva che si può incontrare abbastanza comunemente ed è caratterizzato dal ventre a righe.
Chondrichthyes/Osteichthyes
Per quanto riguarda quelli che generalmente si definiscono pesci bisognerebbe aprire un intero capitolo a parte, come è ovvio le temperature tropicali creano un biodiversità incredibile anche negli habitat marini. Di certo se si ha la possibilità di esplorare un ambiente di barriera corallina (io per farlo mi sono dovuto fare un paio di ore di aliscafo verso Palau Payar, verso il confine con la Thailandia), sarà difficile non restare sorpresi al pari che nella foresta pluviale se non in misura maggiore.
L'ambiente di barriera dipende molto dalla luce solare, ciò significa che la maggior parte delle forme di vita si incontra già su fondali di pochi metri, cosa che facilita enormemente l'esplorazione o per semplice apnea o con i brevetti per la subacquea. Non mi metto nemmeno ad elencare alcuna specie perché sinceramente in una tale situazione si perde rapidamente il conto: la sensazione che si ha in un tal frangente è che più che migliaia di pesci, si sia sopraffatti da migliaia di specie diverse!
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entoK - Messaggi: 2109
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Re: Penang, Malesia
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Re: Penang, Malesia
Suggerimenti e possibili inconvenienti da fronteggiare
Una delle cose che mi preme evidenziare in chiusura di questo racconto sono gli imprevisti, o anche solo le situazioni a cui non ero sufficientemente preparato, di cui mi rendevo conto man mano che cercavo di documentare il viaggio e l'ambiente circostante. Beninteso di inconvenienti in un paese tropicale, o anche solo in una nazione con usi e costumi diversi dai nostri, se ne possono incontrare di varia natura e si potrebbe parlarne per ore, ma quello che mi interessa sottolineare sono i problemi riguardanti una semplice e minima documentazione naturalistica, dato che credo la mia esperienza possa tornare utile come breve vademecum, a chi in futuro leggendo qui voglia cercare di portare a casa materiale fotografico utile a compiere qualche identificazione. Per lo meno spero che qualche consiglio si possa estrapolare da alcuni errori che ho fatto in questa mia esperienza.
Quando si parte per un viaggio del genere si è obbligati a compiere delle precise scelte che poi ci limiteranno durante tutto il soggiorno: per quanto riguarda l'attrezzatura fotografica si hanno degli ovvi vincoli di pesi e ingombri nel bagaglio, a cui eventualmente si può aggiungere il timore di non voler rischiare qualche oggetto costoso (cosa a cui ho preferito non pensare troppo perché credo sia più saggio a quel punto non acquistare proprio oggetti che si teme di danneggiare con l'uso, considero infatti che il fatto di poter documentare certe cose al meglio possa avere anche un valore superiore a certe spese messe in conto, ma questa visione è ovviamente opinabile).
Venendo al punto, quello che ho scelto nel bene e nel male di portarmi dietro è la seguente attrezzatura che descrivo con una breve nota del fine che mi prefissavo quando ho fatto la valigia.
Parto dall'oggetto più semplice ed eventualmente superfluo (per qualcuno): il GPS. In genere è un accessorio che si collega alla reflex e registra la posizione in ogni scatto: almeno nel mio caso l'oggetto ha una batteria a parte, ministilo, che è facile da acquistare ovunque o ricaricare e fa il suo lavoro con buona precisione, ovviamente non è infallibile e in zone con alti palazzi o foresta molto fitta può perdere il segnale, ma mi è capitato raramente durante il mio soggiorno (mi capita più spesso in Italia per assurdo, probabilmente all'equatore agganciavo più satelliti disponibili). Solitamente questo è considerato un accessorio quasi inutile e costoso per una reflex, il fatto è che al giorno d'oggi questa funzione si trova senza problemi in un oggetto più tuttofare come il telefono che si porta sempre con sé. L'eventuale utilità in realtà dipende molto dalle esigenze personali e l'oggetto può divenire molto meno inutile di quanto sembri nelle dovute circostanze. Per quanto mi riguarda, essendo da anni abituato a fare foto durante escursioni in cui reputo piuttosto importante sapere dove fossi al momento dello scatto, prima di acquistare l'accessorio finivo sempre a perdere giornate a sincronizzare il tracciato del telefono con le foto (ci sono diversi programmi che confrontando l'ora registrata in un tracciato GPS, assegnano le posizioni agli scatti avvenuti nel medesimo momento). Quindi dal mio punto di vista è valsa la pena portarmi questo oggetto per me quasi indispensabile; fortunatamente credo che in futuro tutte o quasi le reflex avranno questo accessorio integrato, così come già oggi fanno molte compatte per avere un surplus che convinca ad acquistarle.
La scelta principale che condiziona tutto il bagaglio di attrezzatura è quella di prendere su la reflex, la quale ovviamente necessita di un minimo corredo di obiettivi per essere usata proficuamente nelle situazioni più disparate.
Ovviamente si può mettere in discussione questa scelta, ci sono bellissime fotocamere compatte che ingombrano quasi niente e permettono di destreggiarsi nella maggior parte delle situazioni soprattutto nel caso di prodotti di una certa fascia (anche se queste spesso hanno prezzi non troppo dissimili da una reflex e obiettivo base). A volerla fare facile ci si potrebbe arrangiare anche con la fotocamera di un cellulare che in certe situazioni è più che sufficiente: ho già fatto notare in passato come sia le cosiddette compatte sia le fotocamere dei cellulari possano essere strumenti piuttosto adeguati per la macrofotografia ad insetti e spesso sono una valida alternativa per fare una documentazione rapida sul campo (spesso perfino più comodi e immediati di una reflex).
Purtroppo, però, in molte situazioni una fotocamera con obiettivo fissato non permette proprio di ottenere il risultato che consente invece una fotocamera ad ottica intercambiabile (che sia reflex o mirrorless poco importa), quindi per quello che volevo ottenere io è stata una scelta praticamente obbligata.
Le cosiddette compatte con zoom integrato (o le fotocamere ad ottica fissa dei cellulari) non permettono di raggiungere una visuale così ampia come può permettere un ultra-grandangolare per reflex che è un obiettivo fatto apposta per questo scopo (anche le vedute della megalopoli nel primo capitolo sarebbero state impossibili da ottenere).
Detto questo, però, un grosso rimpianto, cui neanche una reflex per quanto tropicalizzata può sopperire, lo devo ammettere. Nel caso facciate un viaggio ai tropici e abbiate in programma una nuotata sulla barriera corallina allora il migliore strumento fotografico che vi possiate portare è una compatta subacquea! Una volta si era obbligati ad acquistare le costose custodie, ma al giorno d'oggi vengono presentati molti modelli che consentono l'immersione fino ad almeno una decina di metri se non di più e, anche se forse meno adeguate, si potrebbero citare persino le polifunzionali action-cam.
Posso assicurare che in tal caso ciò che si può vedere nei primi metri sott'acqua vale ampiamente la pena di dotarsi di uno strumento simile (o il mangiarsi le mani per non averlo fatto): il fondale di barriera generalmente non è molto profondo, cosa che permette un'ottima visibilità e di apprezzare quindi tutta la gamma di colori variopinti (questa varietà di tonalità si perde a profondità maggiori dove la luce cala rapidamente) ed inoltre rende l'esperienza stessa anche molto accessibile persino a chi ha poca dimestichezza col mare.
Ovviamente saper nuotare bene ed essere capaci di fare un minimo di apnea in immersione rende molto più appassionante lo snorkeling: i coralli mi è capitato di vederli già a poco più di un paio di metri di profondità, ma se si riesce a scendere (compensando la pressione) già fino a 6-7 m di profondità si può vedere molto di più!
Ciononostante, per quanto fosse una situazione che trovo eufemisticamente comica ancora adesso a descriverla, ho visto diversi cinesi molto poco inclini all'acqua apprezzare l'esperienza addirittura indossando un giubetto gonfiabile o un’imprescindibile ciambella: i pesci in certe zone vengono purtroppo nutriti dai turisti, quindi è facile finire in mezzo a branchi con migliaia di bocche (anzi spesso anche fin troppo euforiche e per niente intimorite), quindi mi sento di dire siano esperienze alla portata proprio di tutti e persino di chi non sa nuotare.
In parole povere se si mette in conto una gita su una spiaggia corallina, si può tranquillamente preferire lasciare a casa la reflex (a meno che uno ci vada con una custodia subacquea per reflex ma dato i costi elevati dubito ci siano molti utilizzatori), visto che non sempre è uno strumento a prova di spruzzi e che comunque anche avendo attrezzatura tropicalizzata difficilmente ci si potrà mettere a cambiare obiettivo per non rischiare di compromettere appunto questa sicurezza. Recentemente anche alcuni cellulari garantiscono una minima sicurezza da eventi accidentali di immersione e in una giornata assolata possono essere uno strumento più che sufficiente per scattare qualche foto in spiaggia senza patemi d'animo, ma resta il fatto che una compatta subacquea consente di riprendere i pesci sott'acqua che ti si avvicinano, tranquillamente e senza le difficoltà causate dal dover tenere la fotocamera all'asciutto, magari dietro a un plexiglass.
Nel mio caso, per lo meno, il fatto che avessi la reflex mi ha dato una minima compensazione, perché ho avuto l'accortezza di portarmi il filtro polarizzatore che è sempre di grande aiuto (oserei dire quasi indispensabile) ogni qual volta si voglia riuscire a riprendere in trasparenza senza il problema dei riflessi a pelo d'acqua. Quindi in questo caso se proprio volete portarvi la reflex, allora portatevi pure un polarizzatore!
Tornando al resto dell'esperienza ai tropici, qualcuno potrebbe chiedersi perché sottolineare così tanto la necessità di strumenti fotografici a prova d'acqua, d'altronde esistono anche fotocamere e obiettivi non a prova d'acqua e in casi critici ce la si può cavare anche con questi prestando un po' di attenzione, giusto? In teoria sì: se si presta molta attenzione, si può far tutto, nella pratica il punto è quanto sia alto il rischio di trovarsi impossibilitati ad usare uno di questi strumenti a causa di una minima disattenzione in una situazione che in un paese tropicale può essere la consueta norma. Per assurdo io in passato ho perfino recuperato una normalissima compatta cadutami in una cascata (quindi finita immersa per più di una decina di secondi) che tutt'ora funziona a distanza di anni, nonostante l'incidente mi avesse ovviamente impedito di fare altri scatti terminando l'escursione (gli apparecchi elettrici a bassa tensione in genere si recuperano quando si bagnano, se ovviamente si toglie prontamente la batteria e li si tiene in ambiente secco e caldo fino a completa asciugatura prima di riutilizzarli).
Tipica situazione meteo a mezzogiorno con sole che batte a 32 °C e umidità al 80%.
Tipica situazione meteo 6 ore dopo con pioggia scrosciante a 28 °C e umidità al 85%.
Il punto non è solo che in Malesia, magari quando si è nella foresta pluviale, fra foglie e polvere con l'umidità che sfiora la saturazione, non si sia nel posto più indicato per cambiare un obiettivo senza che lo stesso e il bocchettone della fotocamera si trasformino in ricettacolo per ogni sporcizia o in una nursery per funghi. Il problema è che puoi tranquillamente andare in città un pomeriggio, partendo con un sole che picchia e ritrovarti dopo due ore bagnato fradicio (ma perlomeno mai infreddolito) e bloccato, in quella che fino a qualche minuto prima conservava la parvenza di un vicolo e che invece si è progressivamente unito in un tutt'uno coi fossi a lati, finendo per trasformarsi in un placido fiume.
Quello che a quel punto ti tocca attraversare trascinandoti col polpaccio per metà immerso e che ti rende chiaramente cristallino, finalmente, per quale ragione tutti i camminamenti pedonali della città coloniale siano porticati sopraelevati di almeno un quarto di metro rispetto al piano stradale.
Questa può essere la normalità ai tropici. Quando non rimane neanche un pezzetto dei tuoi capi asciutto e perfino telefonare diventa un'impresa ardua perché la capsula dell'altoparlante del cellulare è piena d'acqua, a quel punto risulta molto improbabile che tu sia riuscito a fare attenzione alla fotocamera: certo non è impossibile girare con un sacchetto ermetico impermeabile e salvaguardare l'attrezzatura, ma il rischio che basti una minima disattenzione e finire per giocarsi l'attrezzatura per tutto il periodo del soggiorno non è affatto un'eventualità remota, quanto al contrario una possibilità più che concreta, quando situazioni simili a quella descritta possono essere comuni, per non dire all'ordine del giorno durante la stagione più piovosa.
Questa è la ragione per cui in fin dei conti l'obiettivo che più ho sfruttato durante il soggiorno e in tutte le situazioni da reportage senza troppe preoccupazioni è proprio il tuttofare tropicalizzato.
Tuttofare, che fra l'altro all'estremo di focale lunga è già abbastanza adatto a fare un certo tipo di fotografia ravvicinata di esecuzione rapida e considerato che nella foresta situazioni e incontri possono essere i più disparati si finisce ad evitare proprio di cambiare obiettivo anche in ottica di quanto ho già detto sui rischi di tale operazione in quell'ambiente.
Purtroppo questo ha condizionato anche il fatto che l'obiettivo che non ho praticamente mai usato sia stato quello che teoricamente sarebbe dovuto essere il prioritario, cioè quello con rapporto di riproduzione più adatto per macro spinta: troppo specialistico e lento nelle operazioni e, senza un'adeguata fonte d'illuminazione, praticamente inutilizzabile dentro la foresta.
Quindi ecco che si arriva alla dimenticanza cruciale, col senno di poi direi sia quasi indispensabile per portarsi a casa foto decenti alle forme di vita sul fondo della foresta, cioè avere con sé per lo meno un flash, se non addirittura un sistema di più illuminatori o anulare specifico per la macrofotografia. Questa è stata la mancanza di cui più ho patito nel cercare di documentare le piccole specie di artropodi via via incontrati ed è anche la ragione per cui ho raccolto e conservato quasi ogni esemplare su cui sono riuscito a mettere le mani, nell'intento di consentirne per lo meno una documentazione fotografica a posteriori.
Per quanto riguarda invece gli ultimi due obiettivi messi a corredo, posso dire che si sono entrambi rivelati più che utili anche se non necessariamente indispensabili per la documentazione naturalistica.
L'ultra-grandangolare come ho anticipato era essenziale per un certo tipo di fotografie che volevo fare negli ambienti urbani ed è molto efficace per viste inusualmente allargate soprattutto in ambienti claustrofobici; direi pure che è anche una ottima scelta per esaltare le architetture, soprattutto nel caso di quelle mastodontiche. Devo dire che per queste medesime ragioni si è rivelato piuttosto utile anche nel fitto della foresta, dato che permette di rendere piuttosto bene l’idea complessiva dello spazio circostante e permette di evidenziare il senso di maestà di cose troppo grandi per entrare in una inquadratura più ristretta come può essere quella del nostro occhio.
Il teleobiettivo luminoso è stato piuttosto utile sempre in città per portare a casa qualche scena di vita quotidiana senza essere troppo invadente e per fare anche qualche buono scatto notturno senza dover aumentare in maniera proibitiva la sensibilità. Va ovviamente detto che per utilizzare un obiettivo con un’ampia apertura su DRSL si deve avere una certa esperienza, dato che si riduce fortemente la parte a fuoco nell’immagine e non in tutte le occasioni questo può essere apprezzabile, inoltre è pure vero che i nuovi sensori fotografici prodotti ogni anno migliorano lentamente in sensibilità. Di certo un obiettivo del genere difficilmente lo si utilizza per la documentazione sul campo, a meno che non ci sia portati un teleobiettivo lungo per caccia fotografica a mammiferi e uccelli (ma in tal caso l’esperienza e l’esborso è ancora maggiore), ma ovviamente se si apprezza il lato umano e tipico dei luoghi e non ci si fa scappare di fare qualche ritratto fugace in un ambiente urbano quanto meno caratteristico direi che non ce lo si può dimenticare.
Una delle cose che mi preme evidenziare in chiusura di questo racconto sono gli imprevisti, o anche solo le situazioni a cui non ero sufficientemente preparato, di cui mi rendevo conto man mano che cercavo di documentare il viaggio e l'ambiente circostante. Beninteso di inconvenienti in un paese tropicale, o anche solo in una nazione con usi e costumi diversi dai nostri, se ne possono incontrare di varia natura e si potrebbe parlarne per ore, ma quello che mi interessa sottolineare sono i problemi riguardanti una semplice e minima documentazione naturalistica, dato che credo la mia esperienza possa tornare utile come breve vademecum, a chi in futuro leggendo qui voglia cercare di portare a casa materiale fotografico utile a compiere qualche identificazione. Per lo meno spero che qualche consiglio si possa estrapolare da alcuni errori che ho fatto in questa mia esperienza.
Quando si parte per un viaggio del genere si è obbligati a compiere delle precise scelte che poi ci limiteranno durante tutto il soggiorno: per quanto riguarda l'attrezzatura fotografica si hanno degli ovvi vincoli di pesi e ingombri nel bagaglio, a cui eventualmente si può aggiungere il timore di non voler rischiare qualche oggetto costoso (cosa a cui ho preferito non pensare troppo perché credo sia più saggio a quel punto non acquistare proprio oggetti che si teme di danneggiare con l'uso, considero infatti che il fatto di poter documentare certe cose al meglio possa avere anche un valore superiore a certe spese messe in conto, ma questa visione è ovviamente opinabile).
Venendo al punto, quello che ho scelto nel bene e nel male di portarmi dietro è la seguente attrezzatura che descrivo con una breve nota del fine che mi prefissavo quando ho fatto la valigia.
- Una DSRL (tropicalizzata, assai consigliabile ai tropici): evito di citare marchio e modello perché qualsiasi reflex digitale (anzi il discorso si può estendere pure a qualsiasi mirrorless) di fascia media è più che buona per partire.
- Un cosiddetto tuttofare cioè un obiettivo con ampia escursione focale (per essere espliciti nel mio caso si trattava di un 18-135 mm f/3,5-f/5,6 anch'esso tropicalizzato) per le situazioni più varie e in cui sapevo non avrei avuto il tempo o la possibilità di stare a cambiare ottica.
- Un tele macro spinto (qualsiasi obiettivo raggiunga RR 1:2 o 1:1 e volendo anche superiori) che mi avesse permesso di raggiungere elevati rapporti di riproduzione e quindi di ingrandire bene i particolari dei campioni da documentare.
- Un ultra-grandangolare (non cito il marchio perché non ha bisogno di presentazioni e in ogni caso va più o meno bene qualsiasi obiettivo che possa raggiungere una focale fra 8-14 mm) perché ero interessato alle architetture urbane e negli ambienti cittadini ristretti sarebbe stata una scelta quasi obbligata allargare le vedute.
- Un corto-teleobiettivo luminoso (cioè con apertura f/2,0 o superiore) che non fosse ingombrante per fare qualche scatto rubato senza problemi quando ci fosse stata poca luce, cioè detto in altre parole per cogliere qualche momento di vita della città e anche di notte.
- Un GPS (meglio se la reflex lo integra o lo permette come accessorio, altrimenti ci si può arrangiare anche salvando i tracciati sul telefono e poi risincronizzando, se si ha tempo da dedicarci al ritorno) perché mi premeva sapere anche dove ero stato e perché è utile se si documentano esemplari.
Parto dall'oggetto più semplice ed eventualmente superfluo (per qualcuno): il GPS. In genere è un accessorio che si collega alla reflex e registra la posizione in ogni scatto: almeno nel mio caso l'oggetto ha una batteria a parte, ministilo, che è facile da acquistare ovunque o ricaricare e fa il suo lavoro con buona precisione, ovviamente non è infallibile e in zone con alti palazzi o foresta molto fitta può perdere il segnale, ma mi è capitato raramente durante il mio soggiorno (mi capita più spesso in Italia per assurdo, probabilmente all'equatore agganciavo più satelliti disponibili). Solitamente questo è considerato un accessorio quasi inutile e costoso per una reflex, il fatto è che al giorno d'oggi questa funzione si trova senza problemi in un oggetto più tuttofare come il telefono che si porta sempre con sé. L'eventuale utilità in realtà dipende molto dalle esigenze personali e l'oggetto può divenire molto meno inutile di quanto sembri nelle dovute circostanze. Per quanto mi riguarda, essendo da anni abituato a fare foto durante escursioni in cui reputo piuttosto importante sapere dove fossi al momento dello scatto, prima di acquistare l'accessorio finivo sempre a perdere giornate a sincronizzare il tracciato del telefono con le foto (ci sono diversi programmi che confrontando l'ora registrata in un tracciato GPS, assegnano le posizioni agli scatti avvenuti nel medesimo momento). Quindi dal mio punto di vista è valsa la pena portarmi questo oggetto per me quasi indispensabile; fortunatamente credo che in futuro tutte o quasi le reflex avranno questo accessorio integrato, così come già oggi fanno molte compatte per avere un surplus che convinca ad acquistarle.
La scelta principale che condiziona tutto il bagaglio di attrezzatura è quella di prendere su la reflex, la quale ovviamente necessita di un minimo corredo di obiettivi per essere usata proficuamente nelle situazioni più disparate.
Ovviamente si può mettere in discussione questa scelta, ci sono bellissime fotocamere compatte che ingombrano quasi niente e permettono di destreggiarsi nella maggior parte delle situazioni soprattutto nel caso di prodotti di una certa fascia (anche se queste spesso hanno prezzi non troppo dissimili da una reflex e obiettivo base). A volerla fare facile ci si potrebbe arrangiare anche con la fotocamera di un cellulare che in certe situazioni è più che sufficiente: ho già fatto notare in passato come sia le cosiddette compatte sia le fotocamere dei cellulari possano essere strumenti piuttosto adeguati per la macrofotografia ad insetti e spesso sono una valida alternativa per fare una documentazione rapida sul campo (spesso perfino più comodi e immediati di una reflex).
Purtroppo, però, in molte situazioni una fotocamera con obiettivo fissato non permette proprio di ottenere il risultato che consente invece una fotocamera ad ottica intercambiabile (che sia reflex o mirrorless poco importa), quindi per quello che volevo ottenere io è stata una scelta praticamente obbligata.
Le cosiddette compatte con zoom integrato (o le fotocamere ad ottica fissa dei cellulari) non permettono di raggiungere una visuale così ampia come può permettere un ultra-grandangolare per reflex che è un obiettivo fatto apposta per questo scopo (anche le vedute della megalopoli nel primo capitolo sarebbero state impossibili da ottenere).
Detto questo, però, un grosso rimpianto, cui neanche una reflex per quanto tropicalizzata può sopperire, lo devo ammettere. Nel caso facciate un viaggio ai tropici e abbiate in programma una nuotata sulla barriera corallina allora il migliore strumento fotografico che vi possiate portare è una compatta subacquea! Una volta si era obbligati ad acquistare le costose custodie, ma al giorno d'oggi vengono presentati molti modelli che consentono l'immersione fino ad almeno una decina di metri se non di più e, anche se forse meno adeguate, si potrebbero citare persino le polifunzionali action-cam.
Posso assicurare che in tal caso ciò che si può vedere nei primi metri sott'acqua vale ampiamente la pena di dotarsi di uno strumento simile (o il mangiarsi le mani per non averlo fatto): il fondale di barriera generalmente non è molto profondo, cosa che permette un'ottima visibilità e di apprezzare quindi tutta la gamma di colori variopinti (questa varietà di tonalità si perde a profondità maggiori dove la luce cala rapidamente) ed inoltre rende l'esperienza stessa anche molto accessibile persino a chi ha poca dimestichezza col mare.
Ovviamente saper nuotare bene ed essere capaci di fare un minimo di apnea in immersione rende molto più appassionante lo snorkeling: i coralli mi è capitato di vederli già a poco più di un paio di metri di profondità, ma se si riesce a scendere (compensando la pressione) già fino a 6-7 m di profondità si può vedere molto di più!
Ciononostante, per quanto fosse una situazione che trovo eufemisticamente comica ancora adesso a descriverla, ho visto diversi cinesi molto poco inclini all'acqua apprezzare l'esperienza addirittura indossando un giubetto gonfiabile o un’imprescindibile ciambella: i pesci in certe zone vengono purtroppo nutriti dai turisti, quindi è facile finire in mezzo a branchi con migliaia di bocche (anzi spesso anche fin troppo euforiche e per niente intimorite), quindi mi sento di dire siano esperienze alla portata proprio di tutti e persino di chi non sa nuotare.
In parole povere se si mette in conto una gita su una spiaggia corallina, si può tranquillamente preferire lasciare a casa la reflex (a meno che uno ci vada con una custodia subacquea per reflex ma dato i costi elevati dubito ci siano molti utilizzatori), visto che non sempre è uno strumento a prova di spruzzi e che comunque anche avendo attrezzatura tropicalizzata difficilmente ci si potrà mettere a cambiare obiettivo per non rischiare di compromettere appunto questa sicurezza. Recentemente anche alcuni cellulari garantiscono una minima sicurezza da eventi accidentali di immersione e in una giornata assolata possono essere uno strumento più che sufficiente per scattare qualche foto in spiaggia senza patemi d'animo, ma resta il fatto che una compatta subacquea consente di riprendere i pesci sott'acqua che ti si avvicinano, tranquillamente e senza le difficoltà causate dal dover tenere la fotocamera all'asciutto, magari dietro a un plexiglass.
Nel mio caso, per lo meno, il fatto che avessi la reflex mi ha dato una minima compensazione, perché ho avuto l'accortezza di portarmi il filtro polarizzatore che è sempre di grande aiuto (oserei dire quasi indispensabile) ogni qual volta si voglia riuscire a riprendere in trasparenza senza il problema dei riflessi a pelo d'acqua. Quindi in questo caso se proprio volete portarvi la reflex, allora portatevi pure un polarizzatore!
Tornando al resto dell'esperienza ai tropici, qualcuno potrebbe chiedersi perché sottolineare così tanto la necessità di strumenti fotografici a prova d'acqua, d'altronde esistono anche fotocamere e obiettivi non a prova d'acqua e in casi critici ce la si può cavare anche con questi prestando un po' di attenzione, giusto? In teoria sì: se si presta molta attenzione, si può far tutto, nella pratica il punto è quanto sia alto il rischio di trovarsi impossibilitati ad usare uno di questi strumenti a causa di una minima disattenzione in una situazione che in un paese tropicale può essere la consueta norma. Per assurdo io in passato ho perfino recuperato una normalissima compatta cadutami in una cascata (quindi finita immersa per più di una decina di secondi) che tutt'ora funziona a distanza di anni, nonostante l'incidente mi avesse ovviamente impedito di fare altri scatti terminando l'escursione (gli apparecchi elettrici a bassa tensione in genere si recuperano quando si bagnano, se ovviamente si toglie prontamente la batteria e li si tiene in ambiente secco e caldo fino a completa asciugatura prima di riutilizzarli).
Tipica situazione meteo a mezzogiorno con sole che batte a 32 °C e umidità al 80%.
Tipica situazione meteo 6 ore dopo con pioggia scrosciante a 28 °C e umidità al 85%.
Il punto non è solo che in Malesia, magari quando si è nella foresta pluviale, fra foglie e polvere con l'umidità che sfiora la saturazione, non si sia nel posto più indicato per cambiare un obiettivo senza che lo stesso e il bocchettone della fotocamera si trasformino in ricettacolo per ogni sporcizia o in una nursery per funghi. Il problema è che puoi tranquillamente andare in città un pomeriggio, partendo con un sole che picchia e ritrovarti dopo due ore bagnato fradicio (ma perlomeno mai infreddolito) e bloccato, in quella che fino a qualche minuto prima conservava la parvenza di un vicolo e che invece si è progressivamente unito in un tutt'uno coi fossi a lati, finendo per trasformarsi in un placido fiume.
Quello che a quel punto ti tocca attraversare trascinandoti col polpaccio per metà immerso e che ti rende chiaramente cristallino, finalmente, per quale ragione tutti i camminamenti pedonali della città coloniale siano porticati sopraelevati di almeno un quarto di metro rispetto al piano stradale.
Questa può essere la normalità ai tropici. Quando non rimane neanche un pezzetto dei tuoi capi asciutto e perfino telefonare diventa un'impresa ardua perché la capsula dell'altoparlante del cellulare è piena d'acqua, a quel punto risulta molto improbabile che tu sia riuscito a fare attenzione alla fotocamera: certo non è impossibile girare con un sacchetto ermetico impermeabile e salvaguardare l'attrezzatura, ma il rischio che basti una minima disattenzione e finire per giocarsi l'attrezzatura per tutto il periodo del soggiorno non è affatto un'eventualità remota, quanto al contrario una possibilità più che concreta, quando situazioni simili a quella descritta possono essere comuni, per non dire all'ordine del giorno durante la stagione più piovosa.
Questa è la ragione per cui in fin dei conti l'obiettivo che più ho sfruttato durante il soggiorno e in tutte le situazioni da reportage senza troppe preoccupazioni è proprio il tuttofare tropicalizzato.
Tuttofare, che fra l'altro all'estremo di focale lunga è già abbastanza adatto a fare un certo tipo di fotografia ravvicinata di esecuzione rapida e considerato che nella foresta situazioni e incontri possono essere i più disparati si finisce ad evitare proprio di cambiare obiettivo anche in ottica di quanto ho già detto sui rischi di tale operazione in quell'ambiente.
Purtroppo questo ha condizionato anche il fatto che l'obiettivo che non ho praticamente mai usato sia stato quello che teoricamente sarebbe dovuto essere il prioritario, cioè quello con rapporto di riproduzione più adatto per macro spinta: troppo specialistico e lento nelle operazioni e, senza un'adeguata fonte d'illuminazione, praticamente inutilizzabile dentro la foresta.
Quindi ecco che si arriva alla dimenticanza cruciale, col senno di poi direi sia quasi indispensabile per portarsi a casa foto decenti alle forme di vita sul fondo della foresta, cioè avere con sé per lo meno un flash, se non addirittura un sistema di più illuminatori o anulare specifico per la macrofotografia. Questa è stata la mancanza di cui più ho patito nel cercare di documentare le piccole specie di artropodi via via incontrati ed è anche la ragione per cui ho raccolto e conservato quasi ogni esemplare su cui sono riuscito a mettere le mani, nell'intento di consentirne per lo meno una documentazione fotografica a posteriori.
Per quanto riguarda invece gli ultimi due obiettivi messi a corredo, posso dire che si sono entrambi rivelati più che utili anche se non necessariamente indispensabili per la documentazione naturalistica.
L'ultra-grandangolare come ho anticipato era essenziale per un certo tipo di fotografie che volevo fare negli ambienti urbani ed è molto efficace per viste inusualmente allargate soprattutto in ambienti claustrofobici; direi pure che è anche una ottima scelta per esaltare le architetture, soprattutto nel caso di quelle mastodontiche. Devo dire che per queste medesime ragioni si è rivelato piuttosto utile anche nel fitto della foresta, dato che permette di rendere piuttosto bene l’idea complessiva dello spazio circostante e permette di evidenziare il senso di maestà di cose troppo grandi per entrare in una inquadratura più ristretta come può essere quella del nostro occhio.
Il teleobiettivo luminoso è stato piuttosto utile sempre in città per portare a casa qualche scena di vita quotidiana senza essere troppo invadente e per fare anche qualche buono scatto notturno senza dover aumentare in maniera proibitiva la sensibilità. Va ovviamente detto che per utilizzare un obiettivo con un’ampia apertura su DRSL si deve avere una certa esperienza, dato che si riduce fortemente la parte a fuoco nell’immagine e non in tutte le occasioni questo può essere apprezzabile, inoltre è pure vero che i nuovi sensori fotografici prodotti ogni anno migliorano lentamente in sensibilità. Di certo un obiettivo del genere difficilmente lo si utilizza per la documentazione sul campo, a meno che non ci sia portati un teleobiettivo lungo per caccia fotografica a mammiferi e uccelli (ma in tal caso l’esperienza e l’esborso è ancora maggiore), ma ovviamente se si apprezza il lato umano e tipico dei luoghi e non ci si fa scappare di fare qualche ritratto fugace in un ambiente urbano quanto meno caratteristico direi che non ce lo si può dimenticare.
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entoK - Messaggi: 2109
- Iscritto il: 26 set '11
- Località: Val Parma - Emilia
Re: Penang, Malesia
wow bravo bravissimo
bellissimo report, mi piace sopratutto la parte III in quanto numero perfetto
aspetto con ansia la 42 con la risposta a tutti i problemi
bellissimo report, mi piace sopratutto la parte III in quanto numero perfetto
aspetto con ansia la 42 con la risposta a tutti i problemi
sono stato scomunicato da TheGrammarNazi: http://www.formicarium.it/forum/viewtopic.php?f=51&t=4639&start=15#p58033
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feyd - Messaggi: 5748
- Iscritto il: 7 lug '11
- Località: campagnano(RM)
Re: Penang, Malesia
Deve essere stata una gran bella esperienza!
I video li hai caricati come privati su youtube, per vederli li dovresti rendere pubblici.
Hai preso campioni di quel Camponotus?
Sospetto che possa non essere l'auriventris. C'è un bel gruppetto di Camponotus da quelle parti con l'aspetto molto simile. E, oltre ad essere una zona dove c'è sempre il sospetto che ciò che è stato descritto non sia esaustivo e non corrisponda alla realtà delle cose, non ci si può neanche affidare troppo alle checklist. Anche quelle sono troppo approssimative. Io infatti includerei tra i candidati anche il paria e il dolendus (più il primo che il secondo). Valuta due osservazioni: che entrambi hanno un'areale che spazia dall'India alla Cina e quindi pensare che sia presente anche in Indocina è piuttosto ragionevole e che la bestia che Alessandro ha campionato in Thailandia lì vicino (e pure lì esterna alle liste di controllo) e ha portato all'attenzione di Fabrizio si è rivelata essere il Camponotus paria (quello che per il momento trovi con nome valido C. parius per un evidente errore linguistico di Bolton).
Dalla foto che hai fatto non vedo una corrispondenza che mi convince con l'auriventris per due motivi principali: il torace che sembra troppo uniformemente curvato e tutto il resto del corpo oltre il gastro mi sembra (ma potrebbe essere solo per non sufficiente risoluzione della foto) "pulitissimo". L'auriventris è una bestia villosissima, con setoloni sparsi un po' ovunque. In particolare qui non mi sembra di scorgerne su arti, torace, testa, occipite e scapi (che dovrebbero essere tutti pieni).
Se hai qualche campione questo controllo lo puoi fare molto velocemente e quindi escludere definitivamente o confermare praticamente quasi con certezza l'auriventris. Inoltre l'auriventris ha sì la peluria dorata sul gastro, ma non è un Myrmosericus come invece lo è il paria! Questo della foto mi sembra completamente sericeo e "riflettente" su tutto il corpo, quasi certamente in Myrmosericus ci siamo comunque. L'auriventris probabilmente ha un habitus macroscopico abbastanza diverso da questo.
https://www.antweb.org/bigPicture.do?na ... p&number=1
Ti dirò che osservando quella foto, se proprio devo sparare un nome, mi verrebbe da sparare il Camponotus paria (che è appunto molto "pulito", ma sericeo). Alex tra l'altro diceva che quelle bestie che aveva campionato in Thailandia erano piuttosto comuni.
I video li hai caricati come privati su youtube, per vederli li dovresti rendere pubblici.
Hai preso campioni di quel Camponotus?
Sospetto che possa non essere l'auriventris. C'è un bel gruppetto di Camponotus da quelle parti con l'aspetto molto simile. E, oltre ad essere una zona dove c'è sempre il sospetto che ciò che è stato descritto non sia esaustivo e non corrisponda alla realtà delle cose, non ci si può neanche affidare troppo alle checklist. Anche quelle sono troppo approssimative. Io infatti includerei tra i candidati anche il paria e il dolendus (più il primo che il secondo). Valuta due osservazioni: che entrambi hanno un'areale che spazia dall'India alla Cina e quindi pensare che sia presente anche in Indocina è piuttosto ragionevole e che la bestia che Alessandro ha campionato in Thailandia lì vicino (e pure lì esterna alle liste di controllo) e ha portato all'attenzione di Fabrizio si è rivelata essere il Camponotus paria (quello che per il momento trovi con nome valido C. parius per un evidente errore linguistico di Bolton).
Dalla foto che hai fatto non vedo una corrispondenza che mi convince con l'auriventris per due motivi principali: il torace che sembra troppo uniformemente curvato e tutto il resto del corpo oltre il gastro mi sembra (ma potrebbe essere solo per non sufficiente risoluzione della foto) "pulitissimo". L'auriventris è una bestia villosissima, con setoloni sparsi un po' ovunque. In particolare qui non mi sembra di scorgerne su arti, torace, testa, occipite e scapi (che dovrebbero essere tutti pieni).
Se hai qualche campione questo controllo lo puoi fare molto velocemente e quindi escludere definitivamente o confermare praticamente quasi con certezza l'auriventris. Inoltre l'auriventris ha sì la peluria dorata sul gastro, ma non è un Myrmosericus come invece lo è il paria! Questo della foto mi sembra completamente sericeo e "riflettente" su tutto il corpo, quasi certamente in Myrmosericus ci siamo comunque. L'auriventris probabilmente ha un habitus macroscopico abbastanza diverso da questo.
https://www.antweb.org/bigPicture.do?na ... p&number=1
Ti dirò che osservando quella foto, se proprio devo sparare un nome, mi verrebbe da sparare il Camponotus paria (che è appunto molto "pulito", ma sericeo). Alex tra l'altro diceva che quelle bestie che aveva campionato in Thailandia erano piuttosto comuni.
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winny88 - Messaggi: 9044
- Iscritto il: 23 giu '12
- Località: Napoli Vesuvio
Re: Penang, Malesia
Ciao, allora ovviamente ho raccolto campioni e ho diverso materiale purtroppo tutto imboccettato assieme in etanolo 95% (non è stato facile reperire quello ad uso medico, anche perché non avevo tantissimo tempo libero). Ancora non ho avuto materialmente il tempo di aprire e suddividere nonché identificare con più sicurezza il tutto. Per tale ragione ci vorrà ancora un pochetto per finire di scrivere al riguardo.
Per scremare molte identificazioni proprio perché non ero troppo sicuro della checklist (che comunque è smisurata per quel genere, ovviamente) ho preso come riferimento un appassionato locale (vive a Kuala Lumpur), che sebbene non sia un autorità nel settore mi pareva abbastanza ferrato, almeno per avere un idea e orientarmi sulle specie principali. Il dubbio con quel sottogenere era sorto pure a me, ma dato che ero completamente ignorante di quali rappresentanti potessero esserci in quei luoghi, mi sono fidato più di quella fonte che reputa C. auriventris molto comune.
Quindi è possibilissimo che quella identificazione sia da rivedere, almeno fino a quando non controllo per bene tutti i campioni (per questo ho anticipato solo queste più comuni che ritenevo meno dubbie).
I dubbi maggiori a dire il vero me li aveva dati quella dopo, ma già là avevo trovato un articolo in cui si distinguono le chiavi fra le due specie nel genere Odontoponera che avevo avuto il tempo di controllare sul campione prima di metterlo da parte.
Sulle crazy ants pure credo ci sia poco da appurare: in questo intervento ho giocato facile.
Durante le ferie vedo di buttare un occhio al materiale in etanolo e di scrivere.
Preparati perché il terzo capitolo te lo faccio bello lunghetto pure quello, altro che battutine su risposte brevi come 42!
Per scremare molte identificazioni proprio perché non ero troppo sicuro della checklist (che comunque è smisurata per quel genere, ovviamente) ho preso come riferimento un appassionato locale (vive a Kuala Lumpur), che sebbene non sia un autorità nel settore mi pareva abbastanza ferrato, almeno per avere un idea e orientarmi sulle specie principali. Il dubbio con quel sottogenere era sorto pure a me, ma dato che ero completamente ignorante di quali rappresentanti potessero esserci in quei luoghi, mi sono fidato più di quella fonte che reputa C. auriventris molto comune.
Quindi è possibilissimo che quella identificazione sia da rivedere, almeno fino a quando non controllo per bene tutti i campioni (per questo ho anticipato solo queste più comuni che ritenevo meno dubbie).
I dubbi maggiori a dire il vero me li aveva dati quella dopo, ma già là avevo trovato un articolo in cui si distinguono le chiavi fra le due specie nel genere Odontoponera che avevo avuto il tempo di controllare sul campione prima di metterlo da parte.
Sulle crazy ants pure credo ci sia poco da appurare: in questo intervento ho giocato facile.
Durante le ferie vedo di buttare un occhio al materiale in etanolo e di scrivere.
feyd ha scritto:wow bravo bravissimo
bellissimo report, mi piace sopratutto la parte III in quanto numero perfetto
Preparati perché il terzo capitolo te lo faccio bello lunghetto pure quello, altro che battutine su risposte brevi come 42!
Demografia delle colonie - Temnothorax nylanderi (uova di operaie) - T. affinis - Tetramorium caespitum - Lasius emarginatus - L. platythorax - L. paralienus - Camponotus lateralis - Pheidole pallidula - Allevare Formicaleoni!
Camponotus aethiops - C. ligniperda - C. vagus - Crematogaster scutellaris - Temnothorax sp. - Myrmica sp. - Messor capitatus
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entoK - Messaggi: 2109
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Re: Penang, Malesia
Ho guardato le due specie che mi hai citato e ho visto che non sono segnalate su Antweb per la Malesia.
In ogni caso mi informo meglio sulle chiavi dei candidati nel genere e ti faccio sapere, il C. dolendus lo posso escludere già dalle immagini perché la pelosità addominale mi pare particolarmente diversa, il C. paria in effetti invece mi sembra più plausibile di quello che ho proposto proprio per il discorso della peluria sericea che fai notare.
Metto un altra foto (più brutta della precedente ma sembra confermare ciò di cui discutiamo) di questo esemplare in cui è chiaro l'addome e il torace sericei.
Tuttavia non vorrei che il caso sia limitato solo delle foto relative a questi esemplari dell'ambiente antropizzato, perché ne ho altre di esemplari nella foresta (pure questi campionati), in cui è molto più chiaro il riflesso dorato (più addominale che toracico) all'apparenza più metallico che sericeo. Devo sicuramente aprire il "vaso di pandora" e controllare sui campioni.
In ogni caso mi informo meglio sulle chiavi dei candidati nel genere e ti faccio sapere, il C. dolendus lo posso escludere già dalle immagini perché la pelosità addominale mi pare particolarmente diversa, il C. paria in effetti invece mi sembra più plausibile di quello che ho proposto proprio per il discorso della peluria sericea che fai notare.
Metto un altra foto (più brutta della precedente ma sembra confermare ciò di cui discutiamo) di questo esemplare in cui è chiaro l'addome e il torace sericei.
Tuttavia non vorrei che il caso sia limitato solo delle foto relative a questi esemplari dell'ambiente antropizzato, perché ne ho altre di esemplari nella foresta (pure questi campionati), in cui è molto più chiaro il riflesso dorato (più addominale che toracico) all'apparenza più metallico che sericeo. Devo sicuramente aprire il "vaso di pandora" e controllare sui campioni.
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entoK - Messaggi: 2109
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Re: Penang, Malesia
entoK ha scritto:mi sono fidato più di quella fonte che reputa C. auriventris molto comune.
Ah, quelle bestie di quelle foto non sono per niente Camponotus auriventris. Sicuramente al 100% no!
Direi che alla base di tutto ci sia quindi una misclassificazione ricorrente di chi abita lì (insomma, un'erronea convinzione). Sono proprio Myrmosericus e il paria mi sembra un buonissimo candidato.
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winny88 - Messaggi: 9044
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Re: Penang, Malesia
Bellissimo reportage. Grazie per la condivisione, che invidia!
Anche io sono stata in Thailandia vicino la stagione monsonica e l'impatto con il clima è stato simile al tuo...io lo descrivevo come "respirare aria calda liquida"!
Anche io sono stata in Thailandia vicino la stagione monsonica e l'impatto con il clima è stato simile al tuo...io lo descrivevo come "respirare aria calda liquida"!
„L'uomo nella sua arroganza si crede un'opera grande, meritevole di una creazione divina. Più umile, io credo sia più giusto considerarlo discendente degli animali.“ _Charles Darwin.
http://pikaia.eu/
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Sara75 - Messaggi: 2218
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Re: Penang, Malesia
asiletto ha scritto:In Thailandia queste Camponotus dal gastro argentato sono piuttosto diffuse, anche in ambienti antropizzati come città e risaie.
Il tipo di quel blog che mi ha linkato Fabio scrive che si trovano facilmente in luoghi antropizzati, mentre nelle zone selvagge scompaiono.
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winny88 - Messaggi: 9044
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Re: Penang, Malesia
Città e risaie in effetti lo sono, come dicevo nella segnalazione, era una delle poche specie veramente osservabili in ambiente pesantemente antropizzato.
Tuttavia, se la memoria non mi inganna ho visto le stesse identiche (chiamiamole Camponotus cf. paria per intenderci) anche nella foresta appena sopra il parco botanico (limite con la città) in almeno un paio di casi distinti (raccolti mi pare). Inoltre le ho riviste comunemente un altro paio di volte, persino nella foresta più profonda in cima alla collina, anche se dopo la discussione con Vincenzo non sono più sicurissimo possano essere tutti riconducibili a quello stesso taxon (forse queste sono Camponotus cf. auriventris).
In ambiente di foresta pluviale collinare (quota 716 m) sul limitare di uno stradello ho scattato qualche immagine come questa, in cui mi viene da dire che gli esemplari abbiano l'addome molto più dorato che sericeo (almeno uno dei campioni in etanolo proviene quasi sicuramente da questi in foto). Purtroppo la foto non è delle migliori (non si capisce assolutamente la peluria), molte sono state documentazioni frettolose e la mancanza di luce sul fondo della foresta complicava le cose.
Potrebbero benissimo essere tali e quali alla precedente, però, ripongo qualche dubbio visto l'addome col riflesso così dorato e il capo (e il torace in parte) che sembra più lucido che sericeo..
Hai reso l'idea! Probabilmente la Thailandia è anche più bella rispetto a dove sono stato io, una grande metropoli industrializzata ha i suoi vantaggi e svantaggi: dove l'ambiente è più vergine sicuramente si può apprezzare meglio l'ambiente naturale e il mare è certamente più piacevole!
Tuttavia, se la memoria non mi inganna ho visto le stesse identiche (chiamiamole Camponotus cf. paria per intenderci) anche nella foresta appena sopra il parco botanico (limite con la città) in almeno un paio di casi distinti (raccolti mi pare). Inoltre le ho riviste comunemente un altro paio di volte, persino nella foresta più profonda in cima alla collina, anche se dopo la discussione con Vincenzo non sono più sicurissimo possano essere tutti riconducibili a quello stesso taxon (forse queste sono Camponotus cf. auriventris).
In ambiente di foresta pluviale collinare (quota 716 m) sul limitare di uno stradello ho scattato qualche immagine come questa, in cui mi viene da dire che gli esemplari abbiano l'addome molto più dorato che sericeo (almeno uno dei campioni in etanolo proviene quasi sicuramente da questi in foto). Purtroppo la foto non è delle migliori (non si capisce assolutamente la peluria), molte sono state documentazioni frettolose e la mancanza di luce sul fondo della foresta complicava le cose.
Potrebbero benissimo essere tali e quali alla precedente, però, ripongo qualche dubbio visto l'addome col riflesso così dorato e il capo (e il torace in parte) che sembra più lucido che sericeo..
Sara75 ha scritto:Anche io sono stata in Thailandia vicino la stagione monsonica e l'impatto con il clima è stato simile al tuo...io lo descrivevo come "respirare aria calda liquida"!
Hai reso l'idea! Probabilmente la Thailandia è anche più bella rispetto a dove sono stato io, una grande metropoli industrializzata ha i suoi vantaggi e svantaggi: dove l'ambiente è più vergine sicuramente si può apprezzare meglio l'ambiente naturale e il mare è certamente più piacevole!
Demografia delle colonie - Temnothorax nylanderi (uova di operaie) - T. affinis - Tetramorium caespitum - Lasius emarginatus - L. platythorax - L. paralienus - Camponotus lateralis - Pheidole pallidula - Allevare Formicaleoni!
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entoK - Messaggi: 2109
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Re: Penang, Malesia
Sì, questa sembra una bestia diversa e credo molto probabilmente proprio l'auriventris. E aggiungo che a me sembrano proprio due cose molto diverse tra loro.
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winny88 - Messaggi: 9044
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